“Casa” è un lavoro semplice e sobrio, che intelligentemente non va per le lunghe. I suoi due autori, Lucio Capece e Sergio Merce, sono entrambi argentini e si spostano senza problemi da visioni radical-impro (in specie Merce, nato primariamente quale sassofonista new-jazz abbagliato dalla spiritualità di Trane) ad esperienze contemporanee in cui è nevralgica l`azione del droning. Due soli pezzi seriali suggeriti tout cour da vicende personali ancora vive e vivide nell`esistenza dei protagonisti. In ambedue le storie la casa entra di preponderanza nel leit motiv di queste costruzioni, esponendosi come spazio simbolico ma pure schiettamente fisico. Virar, Virar, nella sua immortale mezz`ora, rievoca in note il vicino rientro alla madre patria di Capece che si lascia alle spalle un intenso break europeo. La domus viene tratteggiata dalla terra d`origine ed un lungo drone, distillato dallo shruti box di Lucio, sorge come il mezzo più indicato per alimentare l`immaginario con un`indistinta (e inspiegabile) saudade che ha condotto le emozioni del nostro nel viaggio di ritorno. Le tonalità dello shruti, paragonate, ricordano velatamente quelle di una fisarmonica cinta dalla perpetua leggerezza di Pauline Oliveros. L`evoluzione di questa corrente è costante nella forma ma non è difficile individuare tre variazioni tonali nell`armonia portante. Merce, in tale frangente, diciamo che lancia messaggi manipolatori dal sottosuolo con una vasta scala di frequenze elettroniche vitree cagionate dal famoso portastudio autobrevettato a quattro tracce sprovvisto dei nastri.
Questa ricchezza di volume e romanticismo ci abbandona con l`ingresso evanescente di Vieja Casa Nuova, struttura dall`innesto suono-silenzio propriamente feldamaniana. Pura ed esperta austerità acustica per un laconico e greve intarsio lavorato dai timbri diafani di clarinetto basso e sax tenore. Suoni e soffi `acquarellosi` che gli amanti del genere avranno sicuramente colto nel bellissimo duo tra Kai Fagaschinski e Michael Thieke, “The International Nothing”, con l`unica differenza che lì a suonare ombrosi erano due clarinetti.
Rimane comunque leggermente macchinoso accostare concettualmente la frugale asciuttezza dei toni proposta con la colorata parentesi del rimodernamento casalingo di Merce, ma forse anche qui si vuole palesare quella strana nostalgia che la riapparizione e la sparizione del passato origina nelle coscienze, anche tramite episodi a prima vista ininfluenti.
Carpe diem: sfrutto l`occasione per segnalare e consigliare anche il recente quartetto riguardante il solo Lucio Capece, licenziato quest`Ottobre e registrato dal vivo in Belgio per i tipi della Formed Records. In “SLW” il musicista di Buinos Aires improvvisa con Rhodri Davies, Toshi Nakamura e Burkhard Beins.
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