Credo che chiunque si sia domandato come fosse possibile dare un seguito a "Endless Summer".
La risposta arriva dallo stesso Fennesz, ed è negativa. Quello è l'album definitivo, che non ammette repliche. Per il musicista austriaco, dopo di esso, si presentavano due possibilità , reinventarsi o vivere di gloria. Fennesz ha scelto la seconda, la più facile, quella degli applausi, mentre un sipario si chiude sullo sperimentatore per riaprirsi sui lustrini. E, per chi intende vivere di gloria, quale opportunità migliore di 'cantare' Venezia, città simbolo di quello status, con tutta la decomposizione che ne deriva.
Fennesz, occhi di ghiaccio, si impantana totalmente nell'umore della laguna, si lascia corrompere dalla decadenza, e registra una serie di brani che, nel migliore dei casi, mummificano se stesso, mentre nel peggiore... un banalità chitarristica come Laguna parla da se... scende su livelli ben al di sotto della decenza, almeno per come noi l'intendiamo. C'è pure il bis a A Fire In The Forest, per coloro che ne sentivano la mancanza, con la voce di David Sylvian protesa a recitare il solito sermone autoindulgente, questa volta in 'pluralis maiestatis', 'quanto siamo bravi... quanto siamo belli...' (Transit). Anche le belle foto di Jon Wozencroft, viste sotto questa luce 'dolciastra', assumono un aspetto diverso.
Tanto daffare non poteva portare che a "Venice", colonna sonora per una romantica gita in gondola o, utilizzo ancor migliore, per una promettente cena a lume di candela. Musica 'da camera', nel senso fisico del termine, e la 'Patetica' di Tchaikovsky, a confronto, era quanto di più ruvido possa esistere.
La speranza, sempre dura a morire, è che si tratti di un incidente di percorso, anche se un sesto senso mi dice che Fennesz ha imboccato, irreversibilmente, il viale del tramonto. Auguriamogli buona fortuna e vogliamogli tutto il bene possibile, ché, a ripensarci, ci a donato tante belle cose.
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