Ci sono delle collaborazioni musicali, come quella fra Mark Stewart e Adrian Sherwood, che magari non arrivano a occupare la tua immaginazione, ma che poi, a fatti avvenuti, ti rendi conto di quanto fossero inevitabili. L`incontro fra i Melvins e Lustmord, un episodio molto meno stupefacente di quanto può apparire se guardato con un occhio superficiale, rientra in questa categoria. L`occhio superficiale è quello del catalogatore incallito che etichetta i Melvins come gruppo grunge, o hard rock, e Lustmord come musicista industrial e dark ambient: due mondi apparentemente agli antipodi. Oppure che ordina il primo come gruppo rock e il secondo come musicista elettronico: due mondi ancor più disgiunti. L`occhio più attento è quello di chi sa cogliere le sfumature, quali individuare nella musica dei Melvins una forte componente industrial o, visto anche il significativo ascendente esercitato sul gruppo dai primi Black Sabbath, comprendere il suo elevato potenziale dark. Questa non è quindi la collisione fra due pianeti provenienti da direzioni opposte bensì il ritrovarsi fra due compagni di collegio che si erano lasciati per predicare la stessa dottrina con metodologie diverse. Lo scisma non c`era mai stato e questa occasione, pur soffrendo di qualche incomprensione, presenta diversi momenti dal grande impatto emozionale. L`unico handicap consiste nel fatto che l`incontro arriva quando la condizione più infervorata di entrambi è già trascorsa da un bel pezzo, un secolo ci separa dai fasti di “Lysol” e “The Monstrous Soul”, e ancor più tempo è passato dalle più ingenue, eppur tenaci, pagine giovanili. Quindi il disco piace per quello che è e dispiace per quello che avrebbe potuto essere. Piace quando i due brindano al loro incontro e dispiace, magari annoia, quando si perdono a raccontarsi vicende personali che già conosciamo a memoria. Piace soprattutto nella psichedelia immalignita della chilometrica title track e in un gioiello lisergico puro come Toadi Accelleratio, trait d`union fra la lucida follia dei Butthole Surfers e quella devastata dagli acidi di folletto Syd. Non piace affatto, invece, il logoro giochetto della inutile traccia fantasma semivuota messa lì con l`unico scopo di alzare il minutaggio del display. Parafrasando gli Area, e il titolo del CD, è fin troppo facile dire che `gli dei se ne vanno ma i maiali restano`. Alla fine si fa comunque strada una certa soddisfazione, essendo umanamente impossibile, nel 2004, pretendere tanto da ambedue i protagonisti presi singolarmente. Come sosteneva Graham Bond: `two heads are better than one`.
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