Non sono riuscito a capire se Jochen Gutsch è tedesco oppure è australiano, il fatto è che ha iniziato come chitarrista noise in gruppi che credo facessero base in Germania, tipo i Feedback Recycling e i Buckethead (un numero considerevole di incisioni per le etichette N.ur-Kult, Ecocentric, Epistrophy, Hazelwood e Blunoise), mentre le registrazioni di questo suo progetto one-man-band provengono tutte dall`Australia. Fra queste ultime c`è uno stuzzicante split, uscito più o meno in contemporanea con “The Power Of Del te”, condiviso con gli Zu e con i no-wavers finnici Can Can Heads (“Eccentrics #1” uscito per l`etichetta Tenzenmen) di cui ho solo notizia. A rendere ancor più intrigante il personaggio contribuiscono le collaborazioni concertistiche con alcuni dei più interessanti strumentisti della scena impro australiana, quelli che fanno capo alle formazioni che abbiamo recentemente apprezzato in “Ataxia” e “Bridges”.
Gutsch, in questa occasione, prende spunto da uno di suoi molteplici interessi, il minimalismo, per costruire un piccolo giardino sonoro brulicante di qualità esotiche, rese luccicanti da numerose gocce di rugiada e accozzate con un paziente gioco di incastri certosini. La musica inizia con un crescendo che m`ha fatto pensare al Bolero di Ravel, ma poi si acquieta, si ferma, sussurra e sussulta, in una sua percorrenza sinuosa fra sbuffi di jack e deliziose interferenze armoniche. Si tratta di uno dei pochi musicisti che utilizzano chitarra e computer senza rifarsi a Fennesz, trovo che il suo modello sia più prossimo a quello di Un Caddie Renversè dans l`Herbe, e questo è sicuramente un altro punto a suo vantaggio. In conclusione si tratta di un nome da seguire con attenzione, chè il fiuto volpino di Nuno Moita potrebbe aver fatto ancora una volta centro.
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