Ho sempre qualche difficoltà ad usare il termine `minimalismo`, un po` perchè molti musicisti non si riconoscono in questa definizione, addirittura pensano che non abbia nessun significato, e poi non riesco a individuare delle motivazioni logiche al suo utilizzo. Penso, infatti, che fra Charlemagne Palesatine e Philip Glass ci sia più differenza di quella che c`è fra Thelonious Monk e Bernhard Günter. Figuriamoci fra Glass e Alvin Lucier!
Eppure, da qualunque parte lo guardi (e ad esclusione del nome), Un Caddie Renversè dans l`Herbe è un minimalista.
Se pensiamo al minimalismo come ad una musica di tipo ripetitivo, è un minimalista.
Se pensiamo al minimalismo come ad una musica scarna ed essenziale, è un minimalista.
Se pensiamo al minimalismo come ad una musica fatta utilizzando una strumentazione semplice e primitiva, è un minimalista.
Perfino se pensiamo al minimalismo nei termini ironici usati una volta da Robert Wyatt, vale a dire riferendo la parola ad una produzione che non sia sovrabbondante, Un Caddie Renversè dans l'Herbe è un minimalista (tre CD medio-lunghi in quattro anni, di questi tempi, sono davvero poca cosa).
Il disco precedente, del 2002, era stupefacente per le idee che lo animavano, ma appariva un po` dispersivo, non messo troppo a fuoco. In queste nuove realizzazioni, invece, DÖdac Lagarriga (è lui il tipo che si nasconde dietro ad uno pseudonimo così stravagante) prende le giuste misure e si concentra intorno al suono di alcuni strumenti etnici: balaphon, mbira, kalimba... oltrechè melodica e campane. Al di fuori di questi ci sono soltanto un contrabbasso, un violoncello, una chitarra, e poco altro, che fanno una saltuaria comparsa... solo in qualche brano. Infine il computer, usato soprattutto per il lavoro di editing.
Tanto basta a creare 19 gioielli... o forse no, tanto non basta... è necessario, infatti, un gusto estetico speciale.
Il gusto delle (per le) piccole cose.
Ecco allora emergere il gioco pensile di campane risonanti in, e il titolo spiega già tutto, Chimeologies. O i superfantastici incastri di mbira, balaphon e kalimba in A Warm Fistful Of Silk.
Lagarriga, in alcuni passaggi, fa venire in mente il vecchio Robert (ancora lui, Wyatt, chi mai sennò?) quando, ancora, non era occupato a fare i dischi dell`anno (in realtà li faceva del trentennio).
Dove?... direte...
Come dove: nell`handclapping di <www.ponteensupiel.org> o nei giochetti d`alto ingegno artigianale trasbordati in <www.afrofuturism.net>.
Wyatt, sì, ma anche l`Aphex meno calibrato, e questo si sente nei pattern percussivi di <www.afropop.org> e <homepages.gold.ac.uk/hutnyk>.
Ci troviamo in pieno regime pata-informatico. L`ubu dei computer.
Con i suoi suoni cristallini, nitidi, antichi, schietti, genuini, caldi, intensi, cordiali, vividi... come briciole di pane sulla neve...
Con i tremolii, le vibrazioni...
Good vibrations.
E, in <www.mst.org.br>, il berimbau di Kota de Andrade trascina per le strade di casa - perchè Lagarriga, pur vivendo a Barcellona, è brasiliano - all`ubriacatura del carnevale e alla follia delle spiagge d`Ipanema.
Alla macumba.
E, forse, non è neppure la bellezza della musica, ma un sortilegio, che ti spinge a rimettere continuamente i due CD, ora l`uno e poi l`altro, nel lettore.
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