Le collane musicali, dopo i fasti di fine anni Sessanta - inizio anni Settanta, hanno vissuto un periodo in cui erano state ridotte a 'materia da edicola'. Da una decina d'anni a questa parte stiamo assistendo ad un ritorno di questo particolare tipo di edizioni, tanto che molte etichette hanno una o più serie se non, vedi la Tzadik, l'intera produzione organizzata per collane. Fra le più interessanti collane avviate recentemente c'è questa "Object" della Locust, che si distingue per una spoglia veste grafica e per le foto in b/n dei musicisti, così poveramente impostate da sembrare foto segnaletiche di ricercati. Una confezione che ottiene comunque l'effetto desiderato e permette d'individuare a colpo d'occhio i dischi in questione. La serie “Object” trova ragione d`essere nella documentazione dell`improvvisazione più informale attraverso una serie di incontri, più o meno estemporanei, assolutamente estranei al tipo di situazione ormai affermata. Altra caratteristica è nell'interazione fra musicisti, strumenti o suono con vari oggetti.
Il primo numero, frutto dell`incontro fra il trombettista Axel Dörner e il contrabbassista Fred Lonberg-Holm, estemporaneo lo è ai massimi livelli, eppure, data l`abilità dei due improvvisatori, non presenta momenti di incertezza. Se mai i cinque brani suonano fin troppo prevedibili per chiunque abbia frequentato, anche solo saltuariamente, i due musicisti. Il dialogo, in un`assenza totale di ritmo, procede meditabondo, senza particolari scatti nè ire, ma anche senza significativi momenti di vuoto. In definitiva, premettendo che la serie sarebbe da acquistare nel suo insieme, questo è il disco meno interessante di tutto il lotto.
Più sorprendente, e anche più mosso, è il secondo capitolo firmato dagli EKG - il nostro ECG: elettrocardiogramma - un duo formato da musicisti che, vista la loro presenza in alcuni lavori di Olivia Block, non dovrebbero risultare affatto sconosciuti ai nostri lettori. Quella fra Kyle Bruckmann e Ernst Karel è una formula già consolidata, cioè meno estemporanea, della precedente. Eppure suona più fresca, forse a causa dell`utilizzo di strumenti inusuali, accanto alla tromba ci sono un oboe e un suona (detto anche oboe cinese, ma dal suono più simile a quello della zampogna), e della loro contaminazione con modelli analogici di elettronica. Il risultato, piuttosto originale e particolare, fa pensare ad una forma di contaminazione fra la più recente musica improvvisata chicagoana e certe nuove forme di elettroacustica europea (dicendo ciò viene spontaneo pensare al suono Mego, anche se poi Trente Oiseaux e altre etichette non si discostano molto da quel mood).
Matt Bauder e Jason Ajemian (sax tenore e contrabbasso) sono certamente meno conosciuti della coppia precedente, eppure nell`area di Chicago sono entrambi piccole celebrità . Il primo ha già dato alla luce un disco solista su 482 Music e il secondo fa parte anche del duo folk Born Heller (un CD su Locust fresco di stampa). I due tessono un unico bordone, non esente da influenze minimaliste, con il suono degli strumenti che tende continuamente a sovrapporsi per poi disgiungersi, in una emozionante sequenza dal potere magnetico. E` possibile udire un altro suono, al di sotto di quello degli strumenti, per cui è presumibile che i due abbiamo manipolato le registrazioni in fase di produzione, oppure abbiano utilizzato dei nastri, o un lettore CD, o comunque qualche oggetto in grado di emettere un suono, seppure nulla di tutto ciò venga riportato nelle note di copertina e, quindi, non sia possibile stabilire di cosa effettivamente si tratta (fra le foto sembra di vedere un lettore CD...). Quello delle scarse note di copertina sarebbe la nota negativa della serie, ma vista sotto un altro aspetto, quello di concentrare l`attenzione sul suono indipendentemente dai sistemi con cui viene prodotto od elaborato, può assumere una valenza positiva. Ma torniamo a “Object 3” che, giudicato proprio sotto l`aspetto del risultato finale, è il miglior `oggetto` della serie.
Il trio giapponese Bject sembra quasi fondersi con la ragione sociale della collana, come partorito da una stessa madre, e torna a portare quel gusto internazionale che si era perso, dopo il Dörner degli inizi, nelle industriose strade di Chicago. Poca strumentazione tradizionale, un po` di chitarra... qualche soffio di sax alto... qualche macchia di synth, e molta oggettistica, per un disco frizzante e spigliato. Un suono `concreto` che mostra come questi portenti della nuova improvvisazione giapponese, slegati dal mondo, slegati dal presente, slegati dal passato e, probabilmente, anche slegati dal futuro, sappiano assolutamente il fatto loro. Gli oggetti utilizzati: tubi di forassite, giradischi (senza dischi), telefono cellulare e microfoni a contatto. Cinquanta minuti di continue invenzioni sonore difficili da digerire ma preziose da gustare.
Molto bello anche il quinto CD, realizzato da un duo che si barrica dietro la strana sigla Le Doigt De Galilée. I due musicisti, un americano e un europeo, non sono affatto degli sconosciuti. Jaime Fennelly, manipolatore elettronico che qui suona pure un tamburo basso, ha alle spalle numerose collaborazioni, ed è parte integrante degli PSI (con Chris Forsyth e Fritz Welch). Nicolas Field è un apprezzato batterista con varie formazioni, come Phô, DIPSA e The Same Girl. Dalla premessa è facile intuire che “Object 5” è un disco di sole percussioni ed elettronica, l`utilizzo dei tamburi, però, è niente affatto canonico e il disco può far pensare a certe cose ultime di Jason Kahn, ad esempio, ma con una focalizzazione migliore. La prima parte del CD è assolutamente strepitosa e viene appena scalfita soltanto da un finale in cui i due musicisti sembrano un po` addormentarsi.
L`ultimo CD della serie, per il momento, è il recente “Object 6” dei BNSF, un trio di Seattle che ha le caratteristiche di un vero gruppo vecchio stampo, un classico triangolo sassofonochitarrabatteria, ai quali si aggiunge naturalmente la pletora sonora tipica di un multistrumentismo ormai dilagante: computer portatile, campionatore, microfoni, elettroniche, armonica... Il disco inizia davvero come se fosse opera di un gruppo reduce dagli anni Settanta, magari uno dei tanti trii guidati da Peter Brötzmann, per diventare man mano più interessante, in un percorso inverso a quello del disco precedente, quando la bordata d`energia iniziale comincia a sfrangiarsi in più miti rivoli di suono.
Adesso che la Tzadik ha portato la sua produzione a quantità industriali, con conseguente deterioramento della qualità , e che la storica serie di Metamkine ha subito un`evidente battuta d`arresto, questa della Locust è quanto di meglio si può trovare nel settore delle collane musicali. I sei capitoli finora pubblicati non sono certo esenti da difetti, cime abbiamo visto, eppure si stagliano come oro in un panorama tutt`altro che povero di uscite. Speriamo che la Locust possa aggiungere altri anelli, altrettanto interessanti, alla sequenza di una iniziativa così encomiabile. PS: per motivi relativi al programma la durata dei singoli CD è stata approssimata al minuto.
|