Mi resta difficile parlare per l'ennesima volta di Giuseppe Ielasi, non tanto perchè gli argomenti sono esauriti (tutt'altro) quanto perchè seguendone l'evoluzione e i progressi c'è il rischio di uscire dal seminato: se il disco precedente era già ottimo questo è per forza di cose eccellente e così via, fino a creare l'idea del genio (cosa che magari Ielasi non è... o, almeno, aspettiamo ad affermarlo). Per adesso possiamo sicuramente dire di un musicista che si applica e lavora quotidianamente al proprio miglioramento. Il fatto è che bisognerebbe partire cauti quando si parla di un nuovo musicista, lasciando così i margini per seguirne la crescita... ma, agendo in tale maniera, si corre il rischio di non lasciar emergere ciò che veramente vale e, allora, a volte arrivano giudizi anche eccessivi, basati sulla fiducia per quanto si intravede più che sulla realtà dei fatti. Tutto questo per dire che essendo partito con un giudizio ottimo, dato al suo primo disco, e avendone seguito la crescita successiva, oggi dovrei parlare di capolavoro assoluto... la qual cosa non è. In realtà "Plans" non è neppure il disco di Ielasi che preferisco, dal momento che il primo Fringes e quello su Sonoris restano ancora i miei prescelti. Eppure si tratta di qualcosa di speciale: "Plans" è il disco della maturità , quello che 'deve' sancire la sua affermazione definitiva, quello che ci fa capire come la definizione di 'chitarrista' stia ormai stretta al musicista monzese. L'unico brano del disco possiede un'articolazione e un savoir-faire veramente invidiabili, soprattutto considerando l'ambito a cui è circoscritto. Un montaggio di suoni che muove in direzione diversa rispetto a quanto abbiamo finora ascoltato. L'idea di una session fra Steve Roden e i Quicksilver Messenger Service. Oppure fra il David Crosby più (s)fumato e collettivi tipo Minamo. Riferimenti banali, forse assurdi, ma pertinenti anche per quanto riguarda l'impostazione del brano che, non so se volutamente o casualmente, sembra costruito sulla falsariga delle lunghe jam, riprese da modelli jazzistici, in auge a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, laddove all'esposizione tematica iniziale e finale facevano seguito le parate soliste dei vari musicisti. Ielasi smembra il brano, e smembra se stesso, in questo viaggio dove fra il tema iniziale e quello finale, così psichedelici e folksy (con gli arpeggi addirittura in odore di 'jingle jangle'), si acquattano variazioni che fanno riferimento stilistico alle varie sfaccettature del suo essere autore, nonchè ascoltatore, polivalente. Quindi il paragone con la quicksilveriana Who Do You Love Suite potrebbe essere tutt'altro che azzardato, con la differenza che Ielasi è 'uno e trino'... e poi in "Plans" sono le stesse idee di psichedelia, ambient ed elettroacustica ad essere 'riviste', 'masticate' e 'rimesse in discussione'. Torridi momenti che utilizzano 'suoni spazzatura', passaggi con incantevoli 'field recordings', perfino un break 'drummico'... tutto confluisce nell'uno come l'uno confluisce nel tutto. 'Oltre il giardino'... così direi parafrasando un film di Hal Ashby e pensando ai tanti, troppi, musicisti ed etichette che si fossilizzano sulle proprie posizioni.
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