Il Revolutionary Ensemble è una delle formazioni che nacquero nella fervida Chicago di fine anni Sessanta, con una ragione sociale che, supportata da titoli quali “Vietnam” e “People`s Republic”, non nascondeva certo l`ideologia che stava dietro alla loro azione. Sarebbe però limitante non vedere quel `rivoluzionario` anche in riferimento alla musica del gruppo e a una formula che non prevedeva sassofoni o pianoforti (ma, in realtà , quest`ultimo veniva saltuariamente suonato dal batterista Jerome Cooper). A parte questo particolare, di un Cooper che fa la spola fra i tamburi e i tasti del piano, si trattava di una formazione piuttosto ben definita intorno al trittico viola/violino - contrabbasso - batteria e quindi, in un periodo in cui il polistrumentismo era l`elemento trainante dell`innovazione, il Revolutionary Ensemble era in realtà una delle istituzioni dall'impostazione più tradizionale. Il gruppo ebbe un`attività discontinua, a causa dei numerosi impegni e del girovagare che sballottavano la vita dei suoi componenti, distribuita però nel corso di tutti gli anni Settanta. Questo titolo, uscito originariamente in vinile nel 1975 su etichetta privata RE, è il capitolo intermedio di una discografia in cinque tappe, nel cui insieme viene preceduto dalle storiche uscite su ESP e India Navigation e seguito dappresso dai bagliori di “People`s Republic” (Horizon) - considerato il loro disco migliore - e dal fuoco fatuo dell`eponima realizzazione su Enja. “The Psiche”, dopo la febbre free degli esordi e l`improvvisazione strutturata del periodo successivo, lascia emergere un suono più classico, dove hanno buon gioco il grande senso del blues trasmesso dal violinista e la fantasia del contrabbassista, autentico motore del trio, mentre difetta leggermente un Cooper troppo `legnoso`. Il disco è diviso in tre composizioni che rappresentano, ma non a livello di minutaggio, i tre componenti. La lunga apertura di Cooper contiene una estesa dissertazione al piano da parte dello stesso autore, non molto fantasiosa, nonostante il buon supporto dato dal contrabbasso di Sirone, ma con un bel finale trainato dal profondo lirismo di Jenkins e aperto da un bel gioco d`incastro nel passaggio che vede il batterista ritornare dallo sgabello del piano a quello posto dietro ai tamburi. Hu-man, di Sirone, si apre a sorpresa con un break di batteria per svilupparsi poi in un canonico 4/4. Collegno, in chiusura, è il brano più interessante, dacchè porta la firma di quello che, in fondo, era il vero talento all`interno del trio, ma non solo a causa di ciò. Già il titolo, si tratta della tecnica che vede il violino suonato con il dorso dell`archetto, mostra il carattere pragmatico dell`autore, e la struttura non è da meno, con l`archetto che crea sulle corde del contrabbasso un mood para-elettrico, le linee elaborate del violino e il pianoforte a fare da contrappunto, in una struttura che si intestardisce fra momenti di aperto lirismo ed altri di morbida dissonanza. L`assolo di Sirone al contrabbasso, poi, è da manuale. Si tratta quindi di una ristampa benvenuta e speriamo che ad essa faccia seguito il recupero dell`intera discografia, al momento l`unico altro disco del gruppo reperibile è quello su ESP, di un ensemble che ha rappresentato una fetta importante nella storia dell`improvvisazione di scuola afroamericana.
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