Abbiamo già parlato (più che bene) di Deupree e Willits recensendo i loro più recenti CD solisti, rispettivamente “January” e “Pollen”, e in tale occasione abbiamo pure accennato ad una fortunata collaborazione fra i due. La replica, quasi solleticata dal nostro entusiasmo, arriva puntuale e supera anche le più ottimistiche previsioni. “Mujo” presenta infatti un`accoppiata che scoppia di salute.
Un titolo che suona così latino(*) poteva nascondere soltanto un disco solare, ma di una freschezza invidiabile, perfetta terapia per una canicola che non accenna ancora ad abdicare. E` una musica dall`alto potere commerciabile e ciò non è un male, perchè qualche soldo in tasca non può essere che salubre per le produzioni indipendenti.
Dopo un inizio che `parono` i Soft Verdict, i due scivolano verso meandri esotici spiattellando infiorescenze dai vividi colori brasileiro-caraibici, fra le cui pieghe prende forma una scenografia languidamente ballabile, magari sotto l`ombra delle palme da cocco, con lucida chiarezza e senza mai perdere completamente la bussola. Disco perfetto per un`estate da sandziniani in fregola. Micidiale, in Bancha, quello che suona proprio come un reggae destrutturato.
Nella seconda parte del disco, dato che dopo la danza si spera sempre in qualcosa di più sostanzioso, il ritmo si spegne e la musica si fa più meditativa, perfetta colonna sonora per fantastici tramonti al brivido caldo. In Newspaper i due riconducono infine il branco nei più consoni, e conosciuti, territori della fattoria 12K, verso un pop disturbato e reso jazzy dagli stop & go di una voce filtrata in acqua di rose. Inutile dire che in “Mujo” non c`è nulla di nuovo, ma le cose son fatte così bene, con tale meticolosa precisione, e con tale gusto, da far urlare al miracolo in più di un momento... Oltre a synth e computer il tandem fa buon uso di fisarmonica e melodica, ma è la chitarra di Willits, che a tratti richiama alla memoria Adrian Belew (Zappa, King Crimson, Talking Heads... chi si ricorda di lui), a fare la differenza.
(*) in realtà si tratta di un termine giapponese.
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