Autore disco: |
AA.VV. |
Etichetta: |
Cold Blue (USA) |
Link: |
www.coldbluemusic.com |
Formato: |
3xCD |
Anno di Pubblicazione: |
2003 |
Titoli: |
1) Dance 1 2) Dance 2 3) Dance 3 4) Dance 4 (The Dance Of Death - To The Memory Of John Lennon) 5) Dance 5 (Corcovi - Night Birds) 6) Dance 6 / 7) Two Pieces For Piano Solo 8) Piano Solo 9) Vocalise 10) Veil For Two Pianos / 11) Clay Music / 12) Mile Zero Hotel 13) The Blueprint Of A Promise / 14) After 15) Santa Fe 16) October '68 17) Scircura / 18) These Things Stop Breathing 19) Taken From Real Life / 20) Slow Motion Mirror 21) Midnight White 22) Solar Cadence 23) Dancing On The Sun |
Durata: |
156:35 |
Con: |
Ronald Erickson, John Tenney, Peter Garland / Erika Duke-Kirkpatrick, Duncan Goodrich, Michael Jon Fink / Susan Rawcliffe, Lisette Rabinow, Georgia Alwan, Scott Wilkinson / Read Miller, Janyce Collins, Rick Cox / Chas Smith / Rick Cox, Marty Walker / Joanne Christensen, Arlene Flynn Dunlap, Richard Dunlap, Garry Eister, Daniel Lentz |
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una manna |
per etero genio |
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I sette 10-pollici, che negli anni 1982-1983 fecero conoscere al mondo l'etichetta californiana Cold Blue, escono finalmente dalla tomba di una cronica irreperibilità per tornare a rivivere nella veste di triplo CD. Una vera manna caduta dal cielo, anche se il ritorno in attività della Cold Blue lasciava già intuire la fattibilità di questa ristampa. Da sottolineare, innanzitutto, il nome degli autori che, in ordine di comparsa, sono: Peter Garland, Michael Jon Fink, Barney Childs, Read Miller, Chas Smith, Rick Cox e Daniel Lentz. ´Matachin Dances´ di Peter Garland è il disco d'esordio di questo prodigioso musicista. Due violini più gound rattles (strumenti tipo maracas) sono sufficienti a Garland per disegnare 6 border-dance dalla straordinaria forza evocativa, soprattutto quando toccano nel profondo dei sentimenti come nella mestissima dedica alla memoria di John Lennon. Anche gli episodi più vivaci, tipo Dance 6 mantengono comunque un alto profilo. Questo è il Garland più interessante, lo stesso dello splendido "Border Music" su ¿What Next?, profondamente radicato in quelle distese pietrose che hanno visto nascere e morire la fiera baldanza dei nativi americani deserticoli. Sembra che il Matachin derivi dalle danze in uso presso gli Aztechi di Tenochtitlà n (l'odierna Città del Messico), ciò sarebbe deducibile dagli scritti lasciati da uno dei soldati spagnoli (Bernal Diaz del Castillo) entrati in città al seguito di Hernando Cortez. Cambio netto di atmosfere in "Michael Jon Fink '81" dove l'elemento dominante è il pianoforte: in completa solitudine (nelle prime due tracce), accompagnato da un violoncello (Vocalise) o accoppiato a un altro pianoforte. Definirei questi brani come 'notturni', con le loro atmosfere rarefatte e il loro suono meditabondo che si inserisce in quella linea, tracciata da Morton Feldman, che arriva fino a Michael Harrison. Trovo comunque che ci siano anche influenze 'classiche', tipo i "Notturni" di Chopin, per l'appunto, o i "Quadri" di Mussorgsky. Piace soprattutto l'attenzione che viene rivolta al suono, nota per nota, sia nel suo aspetto 'puro' che 'spurio' (la risonanza che gli fa eco). "Clay Music" di Barney Childs contiene solo il brano eponimo, 18 minuti di durata, che fu commissionato all`autore da Susan Rawcliffe per promuovere la numerosa varietà di strumenti a fiato in ceramica progettati da lei stessa. Si tratta di un brano ricco di umori ancestrali, dove i timbri disegnano un 'possibile' paesaggio sonoro pre-colombiano frustrato dalla strutturazione creata da Childs, che appare prettamente contemporanea. Gli strumenti utilizzati vengono definiti come ocarine, flauti, zampogne e fischietti. Questo connubio fra l'autore (le cui influenze si allargano, attraversando Cage, da Ives fino al Jazz) e l'artigiana-strumentista (nella cui attività è facile scorgere l'ombra di Harry Partch) genera uno dei momenti più stimolanti di tutta la raccolta. "Mile Zero Hotel" di Read Miller è l'episodio più particolare, e quindi più indigesto, nel contesto dei sette 10-pollici, raccoglie infatti due brani per voce/i narrante/i. Serve un piccolo sforzo per calarsi in queste tessiture basate su testi estratti da vecchie cartoline scovate presso un rigattiere. Va detto che Miller, oltre che poeta, è anche batterista / percussionista, ed è forse per questo che sa dare all'incedere recitante quel particolare ritmo che lo rende interessante, indipendentemente dalla comprensione del testo. Fra i due brani, Mile Zero Hotel si lascia preferire a causa di una recitazione a tre voci velatamente asincrona, oltre all'autore compaiono Janyce Collins e Rick Cox, che ricorda la ritualità di un 'rosario'. The Blueprint Of A Promise, con la sola voce di Miller, appare quindi come un episodio leggermente minore, seppur sempre apprezzabile. Ritroviamo Rick Cox come autore-esecutore, in "These Things Stop Breathing", di oscure elucubrazioni a base di chitarra preparata e clarinetto. E` il sesto episodio della serie ed è anche uno dei più interessanti. Nel brano eponimo i flussi dissonanti si alternano senza sosta dando vita a un unicum di glaciale bellezza. In Taken From Real Life i due strumenti sono miscelati con la voce sussurrata dell'autore, le tinte diventano così ancor più suggestivamente inquietanti. Cox ha lavorato molto per il cinema, con i registi Thomas Newman e Wim Wenders, e la struttura 'paesaggistica' dei due brani lascia ben intuire quanto quelle esperienze siano un elemento radicato nel suo modo di essere autore musicale. Chas Smith fa tutto da solo con pedal steel e dobro. Nei primi tre brani le note lunghe, simili a lamenti, della 'pedal steel guitar' ricreano quell'atmosfera tipicamente 'di frontiera' che tutti ormai conosciamo, soprattutto per merito di alcune colonne sonore firmate da Ry Cooder. Nel quarto brano, Scircura, la chitarra lascia il posto al dobro con dodici corde, ne deriva una tessitura incredibilmente più ricca, seppur sempre di tipo ripetitivo, con un intreccio di arpeggi che ha dell'incredibile. Smith trasporta l'ascoltatore nella più pura tradizione americana, quella del country-and-western, della sete sotto il sole che scotta e delle notti, attraversate dall'ululato dei coyote, nei deserti sud-californiani. Daniel Lentz è considerato uno degli autori più importanti in ambito minimalista e l'ascolto di questo "After Images" lascia ben intendere perché. I quattro brani del disco sono basati su celestiali vocalizzi femminili, su strumenti a tastiera e su un sistema di trattamento del suono chiamato 'cascading echo systems'. La musica scivola pericolosamente verso la new age, mantenendosi in precario equilibrio su un filo teso ai limiti di quel precipizio, così come mostra di essere influenzata dalle forme più raffinate della canzone pop. Si tratta di strutture estasianti che fanno tesoro dell'insegnamento dettato dal Terry Riley più prossimo al sinfonismo psichedelico. Soprattutto il brano finale, Dancing On The Sun, è dispensatore di quelle buone vibrazioni in grado di appagare tutti gli appassionati della tradizione californiana. Qualche anno dopo, banalizzando queste intuizioni, Enja venderà valanghe di dischi.
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