Si era appena formato, il `collettivo animale`, e già si ripresenta in versione rimaneggiata. Solo con il precedente “Here Comes The Indians“ del 2003, infatti, la sigla Animal Collective diviene a tutti gli effetti rappresentativa nell`immortalare le follie artistiche di Panda Bear, Avey Tare, The Geologist e Deaken. In “Sung Tong” invece si ritorna ai tempi del primo disco del collettivo, quel “Spirit They`ve Gone, Spirit They`ve Vanished” che vedeva agire i soli Panda Bear e Avey Tare (a cui era accreditato il disco). Defenestramento di Geologist e Deakin che pensiamo essere solo momentaneo considerato che non sta scritto da nessuna parte che si debba agire, comunque e dovunque, tutti insieme. Sta di fatto che l`epurazione `umana` sortisce i suoi effetti anche a livello sonoro: vengono infatti smussati gli spigoli, eliminate le scorie elettroniche e i riferimenti kraut; di contro, emerge la loro particolarissima visione del folk, viene conservata l`attitudine freak e aggiunta un`abbondante dose di psidechelia. “Sung Tong” rivela soprattutto un senso del `pop` mai così spiccato nelle produzioni dei nostri. Il richiamo con un altro grande disco uscito quest`anno, “Ten” dei cLOUDDEAD, è d`obbligo; a quello gli si avvicina per lo spirito e l`abilità (non per la musica, sia chiaro) con cui riescono a superare i tradizionali confini folk (laddove i cLOUDDEAD partivano dall`hip hop) per approdare a qualcosa di personalissimo e di alieno. Le prime due tracce sono clamorose: Leaf house è un`ipnotica danza attraversata da più linee vocali da camicia di forza, Who could win a rabbit è una veloce pop song che richiama lisergiche arie sixties. La strumentazione è rimaneggiata, solo chitarre acustiche in pratica, con l`aggiunta di rarissime percussioni, sporadiche manipolazioni (la finale Whaddit i done) ed altri microsuoni non ben identificati; ma il vero fattore dominante è la voce o per meglio dire le voci. Panda Bear e Avey Tare sono due ma sembrano una moltitudine: le armonie vocali incantano, sono ricchissime di sfumature e di una completezza da lasciare stupefatti (ascoltare oltre al già citato pezzo d`apertura anche Winters love e Kids on holiday, ma sarebbero da segnalare tutte le canzoni). La gamma è vastissima: cantano, sussurrano, respirano, usano forme onomatopeiche, canti celestiali, distorsioni e falsetti. In tutto questo trovano anche il tempo per innestare, nel cuore del disco, una lunga suite folk in forma di trance psichedelica (Visiting friends), come dei Jackie-O Motherfuckers da manicomio. Sì, perchè alla fine gli Animal Collective risultano dei veri e propri outsider, fuori di testa e dunque, come qualche volta succede, geniali.
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