La 'Antiopic' è un'etichetta indipendente americana. Da poco tempo a questa parte, oltre ad aver pubblicato notevoli lavori di David Daniell, Diork Workman e degli Ultra-Red, ha inaugurato una serie di compilation dal titolo "The Allegorical Power Series", tutte liberamente scaricabili in formato mp3. La fonte d`ispirazione che ha dato via al progetto è ricercare nuove strade possibili all'interno della musica elettronica astratta e concreta, nonchè una maggiore presa di coscienza riguardo diverse problematiche sociali e politiche (guerra, lavoro e disagi generali...).
Il volume di Dicembre (purtroppo, sembra essere l'ultimo della serie) non poteva aprirsi meglio. E' l'innovativa Kaffe Matthews a firmare il primo brano, Out With The Cold. Nato da un connubio del theremin con alcuni microfoni, la dolce Kaffe, come al solito, usa come materiale di ricerca suoni e (r)umori catturati dai propri spazi performativi. Un brano per certi versi acuto, dove spicca il lato più introverso dell'artista. Bene chiarisce questa oscurità , il luogo di registrazione: l`Experimental Intermedia di New York dove ad essere di casa è Phil Niblock.
Lo svizzero Steinbrüchel, al contrario, si lascia ammaliare da scenari più rilassati e quieti. Architetta il tutto basandosi su suoni presi in prestito dalle corde dell'amico Tomas Korber. Musica d'ambiente, che permea nell'apparato uditivo sottilmente senza frastuoni particolari. Reminescenze di Schütze-iana memoria, dei propri meandri, dove sonorità liquide e avvolgenti fanno da pennello ad un'opera metafisica. Inconsueta accoppiata, invece, questa di Anthony Pateras con Robin Fox. Il primo in pieno flirt con una scuola compositiva di stampo elettroacustica ed un disco fresco di stampa per la Tzadik. Il secondo, apparentemente distante da strutture complesse e vicino agli ambienti dancefloor (Detroit?) . Va detto, comunque, che i due hanno stretto un sodalizio già da tempo, firmando un album intero intitolato "Coagulate". Bizzarra o no, l'unione dà frutti più che convincenti. Come poter definire Aphasia... un collage frastagliato? Un'audace compressione di registrazioni taglienti e fugaci? L' irruente velocità ritmica, con cui il pezzo si articola verso l'esplosione finale (un'istantaneo scontrarsi di samples vocali), lo piazza tra i brani più riusciti della compilation e ci convince a ricercare al più presto altro materiale dei due. Lasciata a casa la fedele compagna Kevin Blechdom, l'estroversa Blevin Blectum scansa per il momento anche l'abito di terrorista sonora, dal facile piglio nel suo mood. 'Tragictable' sono ben 9:48 minuti dove a confluire vi troviamo svariati spunti (logica idm, beeps, field recordings...), e tutti alla fine sfociano in un unico grande calderone dai toni onirici. Cartolina che diventa sognante quando sia la melodia che il ritmo raggiungono all'unisono la vetta massima. Mai stato un grande fan di questi outsiders americani, invaghiti del digitale e della propria carica distorsiva, ma l'emotività (ballabilità !?) intravista alla fine riesce a cambiarmi idea per un attimo.
The Debt altro non sono che gli Ultra-Red impegnati in un progetto di sostegno sociale rivolto alla comunità di Dublino. Musica che, nonostante la forte componente digitale presente, suona semplice e anche un pò scontata. Fuck The Polis, titolo provocatorio e dal taglio genuinamente punk, quello scelto da David Daniell (in piena attività come chitarrista dei San Augustin) e Ateleia. Fastidi sparsi qua e là (probabilmente merito di Ateleia) si contrastano con stratificazioni ambientali cristalline come l'acqua (e qui, si sente la mano di Daniell). Sono i successivi brani firmati da Erikm e Barry Weisblat ad affrontare strutture più complesse. Il turntablist francese in Daisy_Snippet segue la strada, intrapresa da tempo, di un melange tra musica concreta, minimalismo ed elettronica di ultima generazione. In questo caso li fonde dando forma ad un unica scultura sonora affatto invasiva. Velatropa 24.3 di Weisblat gode di un assemblaggio a mo' di cut up. Momenti altalenanti tra riduzione minima dello spessore sonoro e getti frastagliati di beeps nudi e crudi.
Peccato, invece, che il contributo offerto dalla cara Annette Krebs duri troppo poco, limitandosi a sfiorare i 3 minuti. Sia chiaro la durata è minima, ma vale un eternità . Siamo ormai, piacevolmente abituati, nonchè attratti dalla sublime `scarnezza` con cui armeggia, modificando o no, la chitarra. La nostra, per l'occasione, modella un telaio fatto di armonici sussurrati, i quali con parsimoniosa solerzia fanno fatica ad incontrarsi l'uno con l'altro. A questo punto incontrare la figura di Loren (Mazzacane) Connors mi sembra leggermente fuori luogo, viste le proposte uditive avute sin ad ora. Sempre a suo agio nel creare tramite la chitarra (e qualche marchingegno in fase di registrazione) lande profondamente malinconiche. Rimangono sempre la notte, il senso di solitudine, i pensieri più reconditi, il nero ed il blues i mondi che ama sondare il vecchio Loren. Non posso evitare di constatare una sua maestria in tutto ciò, anche perchè sono diversi gli anni in cui il musicista ha affrontato una ricerca sulla carica nostalgica ed intimista del proprio strumento.
New York Pulse è la prima occasione che si ha di udire il suono degli Starfuckers dopo il cambio di nome in Sinistri. Il nome muta, ma la sostanza (per fortuna!!!) rimane identica. Algebrici, felini, veri artigiani nel (de)costruire strutture (a)ritmiche. Una perfetta (dis)equazione tra vuoto assoluto (scabroso) e rumore grezzo. Arrivati a Andrew Burnes (anch'egli parte integrante del trio San Augustin) bisogna gridare al piccolo miracolo. In effetti, dopo ripetuti ascolti, Lilienthalers sfodera la sua cangiante bellezza. Una brillantezza che rispecchia, sia un'ode al minimalismo più recente (penso ai drones di Phil Niblock e Charlemagne Palestine) che all'avant folk americano. Il blues di John Fahey, la ventata delle nuove leve di Pelt, Vibracathedral Orchestra e, perdonatemi l'azzardo, l'incantevole immaginario di Paris Texas con la propria colonna sonora firmata da Ry Cooder. Un'altra chicca, ma anche il piacere di rincontrare il fautore, è Nach Allem was ich liebe duftest du di Alessandro Bosetti. Pochi elementi e di una semplicità disarmante. La struttura ossea articolata da Bosetti consiste in qualche microfono, un giro di loop ed una voce... magnifica!!!
Una nenia che trascende la realtà abbracciando, seppur in poco tempo, un alone di misticità . Facile farsi prendere dall'idea di qualche sciamano alle prese con i suoi riti in pieno deserto. In chiusura troviamo la voce di Anna Ghallo recitare (sembra un vero e proprio reading) ipnoticamente, accompagnata dai laptops di Ryan Smith e Chuck Bettis in Meditation e un altro trio composto da Chris Rosenau Jim Schoenecker e Jim Warchol. Di questi ultimi è History Erased, un ritorno al glitch nella sua forma più ingenua e fresca.
Considerato il formato, e la facile accessibilità da parte di tutti, non porre subito rimedio nell'accaparrarsi questo, con gli altri volumi offerti dall'Antiopic, equivale ad un vero e proprio sacrilegio nei confronti della buona musica e di chi la crea senza scendere a compromessi con qualsiasi tipo di mercificazione.
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