Ci perdoni il lettore per la nostra insistenza, ma dobbiamo tornare a parlare di iXem, un evento che ha rappresentato ben poco nel grande universo della musica ma ha rimbombato come un enorme boato nel `piccolo mondo` della musica indipendente italiana. Ma qui noi viviamo e tornano a nostro vantaggio tutti quei movimenti che possono favorire la reperibilità dei dischi, il proliferare dei concerti e la circolazione delle idee all`interno del nostro `piccolo mondo`. Oggi iXem sembra aver esaurito il suo ruolo, minato da quelle enormi differenza che, già dall`inizio, avevano portato a scontri, incomprensioni e defezioni. Sì, la sua breve estate è ormai trascorsa ma, ciò che conta, lo spirito che aveva animato iXem non è svanito, vive in tante piccole realtà che non possiamo considerare come semplici emanazioni di quell`esperienza, ma che comunque hanno sfruttato quell`esperienza per formarsi e consolidarsi. Questi due dischi, frutto della collaborazione musicale o produttiva fra alcune realtà diverse, non sarebbero stati così come sono, ammesso che sarebbero stati, se a tergo non avessero avuto l`estate ixemiana. Lì sono avvenuti i contatti, lì sono nate le conoscenze, le amicizie, lì è cessato l`isolamento che assillava molti musicisti e molte realtà . Lì è nato quell`impulso a più ampie collaborazioni che, com`è facile intuire, rappresentano il sale per un`ulteriore crescita qualitativa.
Tutto ixemiano è l`iter che ha portato alla produzione de “La vera macchina d`argento”: l`autore è uno degli elementi che più ha lavorato alla strutturazione di iXem e le etichette coproduttrici, due marchi storici nel settore della (mani)fattura in CD-R, sono dirette da Andrea Marutti e Logoplasm, entrambi impegnati in iXem fin dalle prime battute. Alcuni di voi già conosceranno Luca Sigurtà , per la partecipazione ad alcune compilation in rete se non per i dischi autoprodotti pubblicati in precedenza, e avranno già apprezzato la sua scarna poetica che non pochi punti di riferimento ha nei lavori di Bernhard Günter e Steve Roden. Una poetica `dell`assenza` (o `della solitudine`) che, a guardar bene, può ben trovare riscontro anche in generi musicali diversi dal suo: in Nick Drake come in alcuni dischi di Haino Keiji, magari passando per il Luciano Cilio da poco recensito in questo stesso spazio virtuale. Personalmente, ogni volta che ascolto la sua musica, non posso non pensare alla westcoastiana Animist Orchestra di Jeph Jerman, chè davvero tante sono le analogie. Spesso si parla di una musica che lasci all`ascoltatore una libera interpretazione, l`esercizio del libero arbitrio, ma si tratta di una musica che, in ogni caso, `è`; con Sigurtà entriamo nel mondo del `non è`, un universo ignoto, dove all`ascoltatore vengono donati solo brevi tratti per lasciare spazio al suono dell`ambiente e a quello dell`immaginazione. Come nel caso di Günter, sbaglia chi dice qui non si sente nulla, perchè in realtà qui si sente troppo: il ronzare del frigorifero, il ronfare del cane, il concerto dei grilli e delle rane, l`auto che passa, l`alito della brezza, il passo silente del gatto e, soprattutto, il suono dei sogni, dell`utopia. “La vera macchina d`argento” non è il viaggio, la navigazione, ma lo strumento per viaggiare e navigare (con la mente) e in tale senso mi sembra appropriato parlare di psichedelia. La musica di Sigurtà è come il deserto di Sands-zine che, sotto la sabbia, cela tutto un universo.
Per quanto il rapporto fra i componenti di Medves e iXem sia più contraddittorio o, per qualcuno di essi, non sia affatto, per quanto questo disco abbia a che fare meno di zero con iXem, non essendoci in esso alcunchè di elettronico, è tuttavia indubbio che i 4/5 dei musicisti coinvolti nel progetto hanno suonato, qualcuno fianco a fianco, nel proscenio dell`ultima edizione di “Superfici Sonore”, quella dedicata alla realtà ixemiana. Viene quindi naturale legare la nascita di questo collettivo al piccolo sommovimento creatosi intorno ai primi `proclami` lanciati in rete da Domenico Sciajno. In “Medves” il riferimento alla psichedelia, intesa in senso non lato, si fa più pressante, meno incerto, rispetto al disco di Sigurtà . Non si tratta comunque di un rispiattellamento pedissequo, chè nella musica di “Medves” confluiscono il minimalismo (o la ripetitività , chè meglio definisce il concetto, dato che il suono è piuttosto saturo di stratificazioni e, quindi, tutt`altro che minimale), la musica improvvisata, l`amore per gli anni Settanta che Belfi si porta dietro dai Rosolina Mar, il `redcrayolismo` di Rinaldi e, pare strano?, la fluidità tipica del Neil Young più sognante e dilatato. Quindi, se di psichedelica si tratta, è una psichedelica comunque piuttosto malata e tenebrosa. Una psichedelica lontana dai bagni di folla del flower power e prossima, per assurdo, agli intimistici sogni di un Nick Drake. Il suono può anche avere qualcosa del più tipico sound californiano, ma la luce non è quella degli `inni del sole` bensì quella del `seduto in una stanza`. Sarei quindi tentato ad utilizzare il termine `free-form`, per definire la musica del quintetto, nel senso che è libera strutturalmente e convenzionalmente, oltre a presentare una certa libertà esecutiva e mentale da parte dei musicisti e, di contrappunto, richiederne all`ascoltatore. Eppure, pur restando remoto il bagno di folla, mai come `sta volta abbiamo avuto il sentore di una disposizione a concedersi, da parte di questi musicisti, a farsi ascoltare, a incontrare il pubblico in un terreno più favorevole a quest`ultimo che a loro stessi. Il pericolo di bruciarsi è alto, ma i cinque posseggono tante di quelle pelli da potersi anche permettere di lasciarne qualcuna per strada.
Due ottimi dischi che possono portare solo giovamento al panorama della musica indipendente italiana, e benedetta sia sempre la mano di Domenico Sciajno che diete fuoco alla miccia.
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