Il problema più rognoso, ogni volta che devi fare una recensione, è come iniziare: dal disco, dal musicista, dall`etichetta, dal genere musicale... Alcune volte, come nel caso di questo CD, ci sono dischi su cui hai tante cose da dire, eppure ci giri intorno per giorni interi, li ascolti per settimane, finchè la lampadina non s`accende e le dannate prime parole non si formano, dal niente, sulla tua mente. A volte sei lì che stai per afferrarle ma poi, maledizione, ti sfuggono, volano via. Se riesci ad individuare un buon inizio il resto viene poi da se, automaticamente, mentre un cattivo inizio porta ad una recensione senza corpo e, ancor peggio, senz`anima. Eccomi qua, da dove iniziare: dall`etichetta, dal disco, dall`autore... Senz`altro dall`autore.
Chi si nasconde mai dietro a un nome così singolare (inutile che stia a spiegarne l`evidente significato)? I più scafati sapranno già che If, Bwana altri non è che il boss della Pogus, cioè Al Margolis... ed ecco che la prima chance è andata già sprecata. Inutile aggiungere altro.
Ricominciamo da zero. Penso che questo “Fire Chorus” sia, accanto a “Ora” di Gianfranco Pernaiachi e “Battimenti” di Pietro Grossi, il miglior disco della Ants (considero John Cage un fuori categoria)... e adesso? Lo sviluppo del discorso è di nuovo fermo.
Eppure una chiave ci deve pur essere...
Forse sta nel descrivere la struttura dei brani, in buona parte rivista a più riprese, corretta, tagliata e modificata, fino a queste versioni che facciamo fatica a vedere come realmente definitive e che, in quanto tali, sprizzano vita da tutti i pori... o forse è nella voce umana, che domina la maggior parte del disco, manipolata, scomposta, magari non in evidenza, e proprio per questo protagonista, caratterizzante, in questo suo miscelarsi al suono/ai suoni, chè altrimenti sarebbe semplicemente testo. Ma voglio sgombrare subito il campo descrivendo l`unica eccezione, cioè Accidentally Angelica, un brano in cui non c`è alcun utilizzo della voce. Si tratta di un motivo molto complesso, che nella sua forma originaria (I, Angelica) ha dato il titolo ad un CD nel quale non è stato però incluso, e che è andato soggetto, negli anni, a una serie di modifiche e varianti. La costruzione è essenzialmente elettronica ed è basata su più strati, con alcune parti che finiscono per ricordare richiami di corni, trombe e tromboni, reali o fittizi, in un crescendo da cardiopalmo nelle cui viscere è comunque avvertibile la presenza di un alito umano. Chimes, il brano che preferisco, è una struttura lineare per otto tracce circolari di campane a vento e la voce di Thomas Buckner, montate in una fenomenale sequenza ambrata d`oriente dove la voce baritonale campionata, seppur limitata alle battute finali, svolge un ruolo fondamentale di orientamento e sigillo. In Fire Chorus le voci processate danno vita ad un`esperienza più orgiastica, da inferno dantesco, disciolte come sono in un coagulo di campioni sonori che da forma ad una specie di bestiario. Day 8: McKenna`s Brain è l`unico brano in cui una voce recitante si fa quasi intelligibile, afflitta però da stridori di corde e glissandi sintetici, nella sequenza più dissonante di tutto il CD.
Se, come spiega l`autore nelle note di copertina, buona parte di questo materiale proviene dalla rifinitura di scampoli inizialmente mal riusciti, la tessitura finale non dà segno di ciò e, senza inganno alcuno, può essere contrabbandata come un manufatto di stoffe pregiate.
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