Attratto dalla copertina, che era in mostra nella vetrina di un negozio in mezzo a molte altre, ho scoperto la ristampa di quello che dovrebbe essere il primo disco del catalogo Mbari, etichetta gestita dal compianto Julius Hemphill. Originariamente uscito nel 1971, il suo recupero rappresenta un momento importante per la riscoperta della scena legata al BAG, un'associazione di poeti, musicisti e altro, gravitante su St. Louis e, ingiustamente, troppo sottovalutata rispetto alla contemporanea AACM. Il BAG si prefiggeva una valorizzazione della musica, e della cultura, afroamericana in tutti i suoi aspetti, e in tale logica si distingueva per un approccio molto 'popolare' che sarà alla base delle aperture, da parte di sperimentatori legati al jazz, verso il reggae o la no wave, aperture che vedranno in prima fila proprio gli aderenti a quell'associazione. Questa raccolta, al pari dei dischi di LeRoy Jones, riprende le fila tessute dalla beat generation, cioè il poetare sullo scorrere dell'improvvisazione jazzistica, ma lo fa cancellando l'elemento 'non nero' di quella tradizione, il poeta, che viene sostituito dalle voci della black revolution (beatnigs e non beatniks, come preciserà più tardi Michael Franti). Ma, rispetto alle recite di LeRoy Jones, in questi brani c'è un atteggiamento meno intellettuale, dovuto sia alle caratteristiche del BAG che alla storia dei protagonisti (Hemphill era stato un orchestrale con Ike Turner), e prefigurato già dalla scelta di dedicare le poesie del disco al grande country-bluesman Blind Lemon Jefferson. La voce di K. Curtis Lyle è estremamente musicale e ritmica, e pone così le basi su cui sarà edificato il boom del rap, mentre l'accompagnamento di Hemphill, sax e flauto, è sempre preciso, confacente al fluire delle parole e mai sopra le righe. Questo disco è assolutamente da recuperare e da inserire nello scrigno destinato alle pietre preziose.
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