"No Furniture" è senza ombra di dubbio un disco 'tedesco' in tutta la sua essenza. Lo s'intuisce, non solo nell'osservare le parti coinvolte, tutti artisti germanici, ma dall'assetto compositivo che gli scorre dentro. Il modus operandi, che sembra aver piantato le radici tra il circolo impro della zona, è direzionato in una proposizione sonora dai toni forti, aspri, rigidi, spigolosi, essenziali... spartani.
Una peculiarità della scena germanica è nel prediligere una costruzione degli eventi seguendo una logica matematica. Bisogna denudare la singola nota dall'uso comune cui viene associata (mi riferisco all'equazione musica = melodia) e (ri)adattarla dentro un habitat primitivo. Queste varie premesse vanno a diventare un'unica carta d'identità dei tre musicisti firmatari dell'opera. E dunque, esce per la portoghese Creative Sources l'ambizioso melange tra Axel Dörner (tromba e computer), Boris Baltschun (sampler) e Kai Fagaschinski (clarinetto). Come detto, lasciarsi coinvolgere a pieno dai complessi interscambi dei tre non è un'esperienza facile e, diciamo pure, tra le più soavi. Tra l'altro comincia ad essere difficoltoso descrivere in parole chiare e originali ogni nuova proposta. E' netta la sensazione di ripetersi, quasi come girare senza fermarsi mai attorno allo stesso punto. Cosa (ri)dire se non che continua imperterrito (con risultati altalenanti tra il positivo e il negativo) lo studio della trasposizione da suoni ortodossi a geometrie prive d'ogni riferimento stabile e preciso. Le note tecniche c'impongono di segnalare diverse cose. Primo: il soffio di Dörner alla cornetta riesce a emanare, come sempre, un profondo senso viscerale. Il suo ego dirompente, anche se sfiora stati d’animo silenti, rende la presenza di Fagaschinski minuta e invisibile. Baltschun, con un'estetica del suono vicina ai materiali di Peter Ablinger, riesce ad apportare una, seppur minima, variazione di colore in alcuni frangenti. Un disco 'pulito', e appunto geometrico, che dopo qualche ascolto, però, rischia di finire negli scaffali impolverati a far compagnia alla miriade di altri suoi simili. Credo che bisognerebbe seriamente cominciare a porsi delle domande del tipo:
cosa significa oggi giorno fare avanguardia?
Bisogna, a tutti i costi, stupire sondando territori impervi e di difficile accessibilità ? O, meglio ancora, significa ciò sorpassare le barriere della banalità ?
Sarà … vedremo... attenderemo... Comunque una cosa è certa: in questo preciso momento nei miei ascolti ho preferito aver incontrato alcuni di loro
accompagnare a turno l'originale voce di Margareth Kammerer in modo più semplice e meno artefatto.
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