'The Trummerflora Collective is an independent group of music makers that embraces the pluralistic nature of creative music as an important means of artistic expression for the individual and the community, and provides an atmosphere that nurtures the creative development of its members'.
Fin dalla presentazione, su indicata, è facilmente intuibile la larga fascia di generi gravitante intorno agli artisti che formano il collettivo Trummerflora, un estesa realtà proveniente dalla bay-area.
“Rubble 1” è particolare perchè, oltre ad aumentare il numero delle presenze dell'ensemble su supporto discografico (oltre ad apparizioni sparse in varie raccolte è stata licenziata, sempre per casa Accretions, “No Stars Please”, attribuito al collettivo nel suo insieme), raccoglie singoli contributi offerti dai membri permettendo, quindi, un maggiore approfondimento dei rispettivi mood, nettamente eterogenei e variegati tra essi.
Tra parentesi, a produrre l'opera troviamo due etichette, la Accrettions e la Circumvention, che insieme alla Pax Recordings vanno a formare la sacra trimurti delle produzioni sperimentali californiane.
L`entrata dentro una `instabilità dei sensi` si manifesta da If We're All Going To Get It: piccolo esempio di bricolage sonoro (`taglia e cuci` mi sembra il termine più indicato) firmato ed eseguito da Damon Holzborn. Suoni concreti (immaginiamo dell`acqua che scende da una grondaia o ipotetiche macchine industriali che azionandosi arrivano a creare articolati stacchi ritmici) messi in moto mediante la formula dell'incastro, vengono sorretti dalla mano del compositore molto attenta all'aspetto percussivo.
Peccato che il successivo Post-urban Subfrequency firmato Perfektomat, progetto che vede coinvolto il solo bassista Joscha Oetz, non regga il confronto. Il confine labile che si viene a creare tra hip hop e un acid jazz 'zuccheroso' rendono il brano fiacco e poco brillante.
Mrlectronic è un trio di `smanettatori` elettronici composto da Lisle Ellis, Marcos Fernandes e Robert Montoya. Vibrazioni che non richiedono un orecchio particolarmente attento, giacchè la linfa cui trae vita Amphibious è una drumm n bass mischiata ad intervalli più ambient; il tutto potrebbe tranquillamente ricordare, e facilitare le coordinate, l'operato al genere apportato da Paul D. Miller aka Dj Spooky.
Bellissimo, invece, il remix attuato ad una sua stessa composizione da Hans Fjellestad. FTP remix è una miscela esplosiva d'improvvisazione che, partendo dalle fondamenta jazzistiche dell'autore, si propone di svolgere l'intero humus del brano tramite una verve aspramente percussiva e inconsueta. Qui l'ascoltatore può accostarsi alle recenti scoperte di personaggi, quali Anthony Pateras, David Brown e Sean Baxter, firmatari insieme dello strabiliante “Ataxia”.
Animi più romantici e meditativi si respirano in Sundials II di Nathan Hubbard. La linea estetica minimalista dell`autore fa pensare a certe sonorità di marca Cold Blue. Artisti come Micheal Byron, Rick Cox e Micheal Jon Fink si combinano bene con la quieta scorrevolezza del piano, protagonista nell'infliggere la melodia principale al resto della composizione, ben salda al mood cameristico di Hubbard.
`Sfizioserie` elettro-pop sfilano in passerella con i Restilight: collaborazione tra Marcos Fernandes e la giovane cantante giapponese Haco (ricordate gli After Dinner o, più nel presente, la voce delle dolcissime Hoahio?). Il loro sound possiede sia un lato pop, accostabile a dei Pizzicato Five privi della pomposa briosità cui sono soliti presentarsi, sia un lato glitch vicino per 'sentimenti' alla scuderia 12K e del suo patron Taylor Deupree.
Più nichilisti e terroristi, e legati ai destruttoranti suoni di un Kid 606, Lesser e soci, sono i successivi Quell e On/Off, firmati rispettivamente dai Quibble e da un Robert M in forma smagliante.
La mia preferenza va a On/Off, date le soluzioni multiformi presenti, composte sia da ritmiche sognanti sia da oscuri retaggi ambient posti al termine.
I Cosmologic, al contrario, con 17th And Capp Revisited confermano la propria fede al free jazz: quello che spazia dalla Chicago storica di Roscoe Mitchell e Art Ensemble Of Chicago, fino ai recenti borbottii di Ken Vandermark. Il complesso orchestrale, però, è condito anche ad entertainments di zappiana memoria, che smuovono la monotonia dalle linee jazz udite più volte.
Sempre stazionati dentro l'improvvisata è il trio di Ellen Weller, Al School e Marcos Fernandes: Triptych; solo che, più che menzionare passati afro-americani, bisogna spostarsi dalle parti del Regno Unito e immaginare i sensi circolari di Evan Parker al sax o le policromie chitarristiche di Derek Bailey.
Deludente è la ballata electro-industrial, 7 Headless Horse People, ad opera di Titicacam, sigla sotto la quale si nasconde il solo Marcelo Radulovich. In questo caso vengono rese in maniera, un pò troppo sempliciotta, soluzioni interessanti che hanno reso famose formazioni techonoidi quali i Techno Amimal di Kevin Martin e Justin Broadrick.
Fobici e oscuri sono gli interscambi tra Fjellestad e Holzborn, intestatari del progetto Donkey, in Soil: un magma elettronico dalla tinte acide che, scorrendo indietro nel tempo, ricorda il trapasso dall'industrial classico alle prime sperimentazioni elettroniche dei Coil o dei Nurse With Wound.
Chiudono in bellezza, ricordando ancora una volta quel capolavoro quale è “Ataxia”, i Wormhole (Marcos Fernandes, Robert Montoya, Nathan Hubbard), suadente trio dove l'unica strumentazione adoperata consiste nell'utilizzo della voce e delle percussioni. (re)cycl(her), se volessimo spingerci oltre, per merito dell'andamento ipnotico, costituito da echi e risonanze, probabilmente ricavate dallo sfregamento di metalli, riporta la musica ad uno stato primordiale e ancestrale.
Tirando le somme: non è tutto oro quello che luccica, di momenti altalenanti tra positivo e negativo se ne sentono anche qui, ma sembrava doveroso, attraverso questa recensione, accendere i riflettori, perchè anche la calda California venga maggiormente conosciuta dagli appassionati delle musiche indipendenti.
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