Pochi cazzi con i Gerda. Esattamente a due anni di distanza dall`omonimo disco d`esordio, torna il quartetto di Jesi, con immutata rabbia e ferocia. Quando non parlano, i Gerda dicono di una musica sofferta e claustrofobica, ed anche quando parlano lo fanno in modo tale da rendere la voce suono, materia da plasmare e deflagrare. E` uno scenario urbano buio e decadente quello messo in piedi dalla band, una rappresentazione post-bellica che trova paragoni azzeccati solo tra le visioni deliranti dei Neurosis; l`incomunicabilità e l`alienazione estrema, rappresentano l`ultima possibilità di sopravvivenza (`ciò che resta: non il vuoto / un nulla denso / la realtà senza di me / finalmente` urlano in 25 aprile). Dopo il battesimo di fuoco del precedente omonimo disco, i Gerda si ripresentano forgiati nel loro stesso sangue. La musica continua ad essere quadrata, raccolta in un mano chiusa a pugno, nella costante ricerca di abbattere i limiti del hardcore (cosa devo fare; un fiume giusto), ponendo nuovi traguardi da raggiungere (vedersi); non tralasciano ma anzi amplificano la propria componente emozionale (dominio della mia lotta) senza dimenticare però che il gioco che preferiscono è infierire sul prossimo con colpi tra i più forti possibili (metal) senza mezzi termini (il mese dell`iceberg). Integerrimi spaccaossa.
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