L`incontro fra il `rumore` circolare dei Looper ed il pianismo feldmaniano di John Tilbury è la faccenda più lecita di questa terra. Tilbury è stato infatti per anni una delle colonne portanti degli AMM, ensemble storico di improvvisazione non idiomatica, e i Looper sono fra i più accreditati nella cerchia di coloro che potrebbero raccoglierne l`eredità . In realtà il termine `impro non idiomatica`, nel caso dei Looper, sembra essere un po` stretto, giacchè quella del trio scandinavo-ellenico è più un`improvvisazione poli-idiomatica. Nella formazione dei tre musicisti, come nella formula proposta (batteria-violoncello-sax), c`è sicuramente il jazz come c`è la musica contemporanea, ma un ascolto attento coglie anche indubbie assonanze con certa musica elettronica, concreta e/o elettroacustica (indipendente dal fatto che venga o no fatto uso di strumenti elettronici e/o di registrazioni d'ambiente). Nel caso di "Mass", poi, c'è anche una parte visuale a porre un ulteriore ponte di collegamento fra il modo d'essere del trio e quello di numerosi ensemble elettronici. Ed è proprio per il legame inscindibile esistente fra musica ed immagini che è stata fatta la scelta di pubblicare questo lavoro in DVD. I due video principali presentano l'intero brano registrato nei concerti di Oslo e Stavanger tenutisi a distanza di circa un anno l'uno dall'altro. Questo per quanto riguarda l'aspetto audio, chè la parte video è stata montata da Veliotis in altra sede, seppure poi corrisponda a quanto gli spettatori vedevano proiettato durante quei concerti. Si tratta di immagini religiose, probabilmente a rappresentare una visione critica del totalitarismo che accomuna tutte le religioni, che si sovrappongono e interagiscono sia attraverso movimenti oscillatori sia attraverso lente zumate. L'effetto è straniante e caleidoscopico, e può far pensare al fluido miscelarsi-scomporsi di sostanze in liquefazione. La durata delle due performance è pressochè eguale, e questo fa pensare a “Mass” come ad una struttura piuttosto definita nel suo insieme ma comunque molto libera nel corso del suo svolgimento; come quei fiumi che nascono nel monte tal dei tali, sfociano nel mare tal dei talaltri e, pur cambiando di tanto in tanto il loro percorso, continuano a nascere ed a sfociare nello stesso punto e dopo gli stessi km di percorso. Nei tre estratti dalla performance di Stavanger è invece possibile osservare lo scenario della performance stessa, con i quattro musicisti in azione e le immagini che fluidificano sullo sfondo, dando così anche un`aura di concretezza volta a meglio definire e contestualizzare i due video principali. Quindi questo DVD, al di là della qualità di “Mass” come performance, contiene anche un`interessante ricerca rispetto alle possibili soluzioni nel riproporre su supporto in modo valido un`opera audio-visuale.
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E` la prima volta che scorgo il sassofonista Martin Küchen fuori da una dimensione più consona al jazz che ha potuto contraddistinguere, ad esempio, il quartetto free-bop degli Exploding Customer, condiviso con Tomas Hallonsten, Benjamin Quigley e Kjell Nordeson. La diversità che si presenta con “Homo Sacer” è molteplice, facendo permeare dentro questo nuovo titolo della Sillón (la sotto-label della Sofa Music di Ingar Zach incentrata agli esperimenti solisti) due linee-guida: quella concettuale / filosofica e quella più autenticamente strumentale / espressiva. Küchen, nel primo caso, dedica questo viaggio solista alla figura e/o espressione latina dell`homo sacer (letteralmente uomo sacro) che sta ad indicare una vera e propria pena religiosa (sacertà ) inflitta a coloro che mettevano a serio rischio la pax deorum, ossia il rapporto di particolare amicizia che s`instaurava tra la collettività (il popolo romani) e gli Dei, garanti di prosperità e pace eterna. Una figura, come quella del condannato per sacertà , che veniva isolata, spergiurata dal resto della popolazione, e alla quale solo gli Dei potevano infliggere giusta punizione, si lega a perfezione, umanamente e filosoficamente, con diverse parabole di disperati della cosiddetta era moderna: rifugiati che scappano da opprimenti tirannie, l`Olocausto e la diaspora degli Ebrei, la libertà preventiva di Guantanamo...
Ecco, dunque, un succinto assaggio degli eventi che metaforicamente si annodano a tale, primitiva ingiustizia, ed i quali lo stesso Martin tiene ad evidenziare come fondamentali per la formulazione del cd in causa.
La musica, dal canto suo, è scarnissima, e usare un aggettivo quale primitivo, oltre a suonare scontato, è un puro e semplice eufemismo; essa riesce a descrivere egregiamente lo stato di angoscia e la profonda solitudine di un simile precetto. Il nostro si avvinghia con un bagaglio sterminato di fiato `represso` sui corpi nudi e crudi di sax baritono e alto, spingendosi in casi sporadici a mischiare il canto dei fiati con i gracchianti disturbi di una pocket radio. Anche se (suppongo con quasi totale certezza) le cinque piste presenti non hanno subito overdubbing particolari e smussature in fase di (ri)editing, l`impatto poli-fonico, la sensazione che fuoriescano più forme da un solo `contenitore` è senza mezzi termini disarmante; l`ovvia bravura di Küchen in ciò lo dirige a pieno titolo dalle parti di Evan Parker e John Butcher, lasciandolo invece lontano dalle textures più anarchiche di Greg Kelley e Nmperign.
Qui dentro le note concepite, i soffi, persino gli sputi nelle recondite cavità del sax, hanno quel tocco di classe sospeso tra affascinante dissonanza e misticismo, carezzando qua e là piccoli concetti di (alato) virtuosismo. Già , comunque Martin è un rodato jazzista, anche molto caliente nel rapportarsi ai timbri melodici e ritmici; e lo stesso occhio viene bi-diretto alla bisogna, dosando bene in qualsiasi frangente l`armonia dominante e la struttura ritmica portante. Un`equazione (quasi) perfetta che dona ad una musica, al contrario, apparentemente `informe` e maculata da rumori poco percettibili quanto riconoscibili, il pregio della purezza.
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