Titolo preso in prestito da un racconto veloce di Dino Buzzati, “Il Colombre” è l`ultima creatura solista di Madame P. Emotivamente, si tratta di un disco carico di suggestioni, di malinconia e di ricordi. Ancora una volta è la fucina creativa del Lab12 (il loft abitato e amato da Patrizia) a balzare alla ribalta come luogo pregno di magia.
L`ex Allun dedica palesemente il lavoro all`esperienza della factory, rievocando nel retro-copertina i quattro anni trascorsi all`insegna del confronto con la `crema` del jet set indipendente, italiano e non. Parallelamente, c`è la fonte originaria del cd che si riallaccia alla lunga improvvisazione avvenuta nell`Orange room del Lab un annetto fa, dove effettistica, loop, inserti volanti di una tastiera immateriale, ergono come dei semplici surplus: accompagnatori di una voce dominante, capace di spaziare ovunque, appagando l`anima con il costante e affilato sguardo volto allo studio dell`improvvisazione. Dopo aver richiamato la giusta attenzione sul contributo che Andrea Marutti reca con trattamenti vari e montaggio audio (per me responsabili di una patina oscura spalmata un po` ovunque) non resta che svestirsi di tutte le formalità di rito, che il caso imponeva, per succhiare fino al midollo l`anima soul (sì: splendidamente Soul!!!) de “Il Colombre”.
In principio c`è la catarsi, la discesa in una piena autoanalisi: mistici i primi due apri-pista, Oh! My Home! e Insonnia Crepuscolare, che sembrano composti in una felpata notte di luna piena. Da subito gli incastri (lavorati in real time) della voce sotto forma di loop mietono le prime `vittime`. In fatto di ingegnosità non si riscontra un difetto nelle (auto) manipolazioni vocali; collegate con il canto sovrastante, magari gentilmente swing e da signora-di-classe come in My favorite Tree, offrono completezza ed una distribuzione degli elementi eroticamente jazz(y) e nebulosa. E` ovvio che quest`attitudine è percepita raramente in modo vistoso; nella pluralità del tragitto, l`inclinazione della milady per il lato cool dell`improvvisata è ravvisabile, diciamo, mediante piccoli e sublimi `scarti`: sbalzi sottopelle di dolcezza armonica che con orgoglio, anche nelle situazioni più sinistre, trova la forza (e soprattutto il giusto momento) per comparire con tutto il suo splendore. Vi sono, poi, spazi dove l`astrazione incontra aliti di contemporanea: la frammentazione de L`Appeso, con il cuore colmo di pathos per la reiterazione-perfetta dei samples vocali.
Quando la geometria della piacevole-imperfezione è prossima alla maniacalità nel programmare l`inserzione di tanti suoni (spunti) dentro un`unica formula. Difficile da spiegare, ma basta sentire il pezzo citato per accorgersene e convenire a pieno con ciò. Madame P prospetta e pone i loop tra loro secondo differenti velocità , che fuse, combinate, alchimizzate marciano come un esercito-di-unità inarrestabile.
Silence è micro wave liquefatta da un canto dispotico ed elettro-distorto; May Of Sikh è oscura paura, un esperienza-superiore dove la trasformazione istantanea della voce, da alta e sinuosa a greve e tantrica, porta a pensare che la nostra qualche nascosta passione per la wave esoterica dei Dead Can Dance (e di Lisa Gerrard in particolare) l`abbia avuta e come nei curiosi fasti adolescenziali; I Believe In Ground è quello che Bjork oggi dovrebbe fare per uscire dallo spettro del mainstream ed essere (mi perdoni) una cantante che osa: medley delineato da sotterranei controtempi elettronici low-d `n` b - aspri, granulari, all`osso - in supporto ad un canto che corre da tutt`altra parte, incurante di ciò che c`è dietro.
Contrasto evidente, magia lampante.
Ride For a Dream rincasa la dose di ascetismo (ora più spartano e nordico), amplificando così l`attacco successivo, energetico e soul, elaborato in Today Is Tomorrow: vera e propria chicca dalle pulsazioni dancefloor. L`ari(ett)a minimal-magnetica reichiana vissuta nella celestiale chiusura, firmata Type Three, è soltanto il preludio di un ulteriore stacco-finale: un canto educato, perbenista, distratto e virtuoso accompagnato dal fragore, quasi metronomico, cagionato dalla caduta-libera di oggetti, presumibilmente, vetrosi.
Che dire, abbondiamo con le formalità e gridiamo ai quattro venti:
SUBLIME!!!
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