Qualche anno fa le musiche 'silenziose' riscuotevano un certo successo, ma poi i gusti si evolvono (o sarebbe meglio dire 'cambiano'), le piccole mode passano e un disco composto da suoni molto sottili e 'a bassissimo volume' qual'è "Playing By Numbers" finisce con l'essere decisamente out. Peccato perché, pur senza rappresentare nulla d'esplosivo, meriterebbe comunque d'essere ascoltato. Rispetto al suo predecessore "2 CD" del 2003, del quale ripropone le immagini di copertina in veste schematizzata quasi a voler dare un`enigmatica idea di continuità , le strutture sono meno complesse e fanno meno affidamento agli artifizi elettronici, anche se il titolo sembra far riferimento all`idea di programmazione, con un relativo recupero di suoni tratti da strumenti tradizionali (le percussioni di Brandlmayr, il violoncello di Bussmann ed il flauto dell'ospite Erik Drescher). Il primo brano è il più presente ed è composto da linee di batteria che si rincorrono, da qualche tocco di violoncello e poco altro: roba minimale, ripetitiva e circolare, a suo modo non priva d'ipnotismo. Ancor più sottile appare Playing The Night In Vienna, che comunque ripercorre l`andatura ciclica del brano precedente, con la sua immobilità notturna che fa sicuramente torto alla vitalità della capitale austriaca. Nel terzo brano (curiosamente dedicato a Nam June Paik e Vashti Bunyan) c`è addirittura la voce, ma è così flebile che sembra destinata a spezzarsi. Il tutto finisce lasciando un sapore d`incompiutezza, come se si trattasse di un doppio 45 giri inciso solo su tre lati, e comunque abbisogna di numerosi ascolti per essere veramente apprezzato nella raffinatezza delle sue soluzioni. “Playing By Numbers” è uno di quei dischi i cui pregi finiscono per rappresentarne anche i difetti; e tuttavia è super-consigliato a chi ha amato Bernhard Günter, Taku Sugimoto e Radu Malfatti.
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