Dopo varie collaborazioni sparse a destra e a manca era lecito attendersi da Belfi e Pilia un CD a quattro mani e invece ecco che se ne escono fuori con due dischi solisti che possiamo considerare come 'gemellati', dal momento che sono stati pubblicati in contemporanea sullo stesso marchio. E` proprio da quest`ultimo che voglio iniziare per sperticarmi in ennesime lodi ai due discografici milanesi che gestiscono la Die Schachtel: in un momento in cui la confezione dei dischi appare sempre più dozzinale, e mentre lo stesso supporto discografico è messo in discussione dalla trasmissione dati via rete, la cura che Bruno Stucchi e Fabio Carboni mettono nelle loro pubblicazioni è addirittura commovente. Paragonare CD come questi a quelli messi in circolazione dalla stragrande maggioranza delle etichette discografiche equivale al paragonare uno di quei bei maglioni lavorati a mano con quelli che vengono sfornati in serie da un qualsiasi opificio. Ma Stucchi e Carboni, da buoni collezionisti, sono cresciuti con i supporti in vinile, li hanno amati e li hanno riproposti nelle loro prime pubblicazioni come discografici, e oggi cercano di conservare alto il livello qualitativo della confezione anche nel formato Compact Disc. Fortunatamente per loro questa strategia alla distanza è risultata vincente; mi sembra infatti che la Die Schachtel ha ormai raggiunto una certa tranquillità economica, e di questa fortuna usufruiremo anche noi (spero per lungo tempo) ogni qualvolta potremo mettere le mani su gioielli di questa fatta.
E vengo al contenuto dei due dischetti.
Devo dire che il disco precedente di Belfi, su Häpna, non mi aveva pienamente convinto; i brani erano ottimi se presi singolarmente ma sembravano non funzionare come insieme, non c'era coesione, e il tutto appariva troppo frammentato (in realtà i brani erano stati concepiti in situazioni e momenti differenti). Questo nuovo disco, viceversa, si fa apprezzare proprio per la forza dell'insieme percepibile, fin da prima dell'ascolto, già nella scelta di dividerlo non in titoli ben distinti ma in quattro parti che appaiono come componenti di un unico indissociabile. La cosa che balza subito all`occhio è il fatto che in “Knots” Belfi usa essenzialmente quello che è il suo strumento, cioè la batteria, e lo fa con classe e raffinatezza, tendendo ad unificare la tradizione contemporanea europea legata all'uso delle percussioni (da Stockhausen a Jason Khan, attraverso l'AMM) con la tradizione nera (quella che da Max Roach porta a Milford Graves). E` così che entra prepotentemente in gioco la tradizione afro dello strumento, con un insistentre tambureggiare che si assomma a sottili linee di feedback (almeno credo che si tratti di questo e comunque tale è l'effetto) o a rarefatti giochi di tastiera (e devo ripetere l'almeno credo) suonata dallo stesso Belfi o campionata che sia. Tale avvicinamento all`Africa potrà apparire anche strano ma in realtà non lo è affatto, dal momento che il percorso di ogni batterista curioso e intelligente non può che, prima o poi, portare da quelle parti. Ma c`è di più, e con "Knots" Belfi torna a quella impalpabilità ed a quel minimalismo che alla terza edizione di “Superfici Sonore” aveva fatto in modo che il suo concerto in coppia con Ciro Fioratti stupisse tutti e fosse ricordato da alcuni (compreso il sottoscritto) come il miglior concerto della rassegna.
Buone nuove anche per Stefano Pilia che, pur restando legato ad un'estetica bucolica e vicina a filosofie zen e/o naturaliste e pur conservando pressanti richiami agli elementi naturali, abbandona in parte i lunghi bordoni dei dischi precedenti e si dedica ad una ricerca più microscopica intorno ai suoni e alle relative risonanze. Chitarra elettrica (anche preparata), pianoforte, qualche campione e pedaliera loop servono per la creazione di un microcosmo delicatissimo e rarefatto. La grazia e la melodiosità di queste pagine sembrano contrastare con l`energia e la furia elettrica che il Pilia tira fuori nei concerti con i ¾ HadBeenEliminated, e in realtà il multistrumentista bolognese (al pari di Keiji Haino) sembra essere affetto da un vero e proprio sdoppiamento della personalità (e magari anche da un triplicamento o quadruplicamento). E` così che l`energia di quei concerti, talvolta rockettona, nei suoi dischi in solitudine si stempera nelle suggestioni provate ascoltando lo scorrere di un ruscello, lo sciabordare della risacca, il refolare di un venticello primaverile od il respirare di un bosco. Sono molti i nomi che potrei fare e portare a paragone di questa triplice meditazione, ma preferisco non farlo perchè il disco è fondamentalmente molto personale e frutto di una sensibilità singolare ed, in qualche modo, unica. Preferisco quindi che sia lo stesso lettore a scoprire eventuali richiami, ma sono certo che una volta messo al cospetto di queste trame cristalline ogni pensiero verrà meno e l`abbandono sarà totale...
E il naufragar m`è dolce in questo mare.
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