Dei dischi, alcuni in particolar modo, andrebbero concepiti ed ascoltati, sulla scia di ciò che li ha fatti nascere.
Bisognerebbe capire come viene a crearsi quel fascio di attenzioni, che spinge certe (neo)nate etichette ad intraprendere una direzione (scommettendo come in questo caso su nomi certamente non altisonanti) e come gli stessi musicisti coinvolti possano ritenere di passare dal solipsismo e dalla solitudine di un lavoro diffuso nel proprio studio, ad un lavoro che si rende disponibile all`ascolto.
Il caso della Tourrette è emblematico come misterioso è il caso di far nascere un`etichetta oggi: si tratta di una label che nasce già con profonde difficoltà dovute al downloading ed all'attenzione sempre più ridotta causata da un pubblico sempre più striminzito e particolarista (l`audience dell`improvvisata-elettroacustica conta di sette più che di persone), che nei momenti iniziali, quelli da sballo da laptop, ha partorito diversi materiali che oggi occupano i piani più alti e più stanchi di certe librerie sonore. L'etichetta ha finora diffuso quattro lavori ([-hyph-], trattasi di capolavoro, ma ne parleremo in sede specifica e O paradis, appena uscito) di cui questi due i primi, ed intenderebbe esplorare il lato più off di certa musica off, o comunque incatalogabile.
Non si tratta di prendersela con il tempo, perchè la questione non riguarda gli annali della musica; semplicemente si tratta di chiedersi perchè dei dischi in particolare, più di altri ancora, escono in un certo modo, e con determinati ritardi congeniti. Partiamo da NO, e dal suo personaggio, Jan Iwers, che ci propone una miscela di suoni cardiopatici basati su lunghi bordoni incendiari che attorniano continui sfasamenti di tempo e spazio. Sono grosse tele bianche, disposte in maniera insolita, attraverso cui ad intervalli spastici, vengono proiettate immagini lampo che vanno in frantumi da sole. L'ingegneria sonora è un miscuglio più o meno minimale di macchine analogiche, ed intensi silenzi che ovattano la materia negativa che ricopre questi suoni, se non a celare la musica che viene avanti: il risultato è un continuo silenziarsi del suono... un suono tra Cristopher Willits e certe laconiche ondulazioni della coppia Sigurtà Fhievel. L'ascolto di No genera però non poche domande. La prima che mi viene riguarda le frequenze: nel quarto pezzo ad esempio, si muovono soltanto i coni delle casse, segno che si voleva provocare una saturazione cronica proprio in quel passaggio specifico; se è così come mai i picchi degli altri brani non stridono alla stessa maniera? Perchè tenere un livello così basso nel mastering? Forse per mantenere tutto in coda, alle spalle, dietro il suono? E cosa c'è avanti... il silenzio? E` un disco che cerca di far risaltare la relazione tra i rumori, gli ambienti, i tagli improvvisi ed il silenzio?
In effetti sorprende il modo in cui certi articolatori del suono lavorano sul piano informazionale senza tenere assolutamente presente tutto l`assetto tecnico, ingegneristico, formale (e dal momento che la forma coincide con la struttura, e che l`elettroacustica è fino all`ultimo aggiustamento di equalizzazione un work-in-progress, la parte tecnica inficia eccome i suoni e la loro disposizione!).
I punti di forza del lavoro, comunque, risiedono nella sua audacia e nel fatto che sono davvero fuori tempo massimo, quasi da rappresentare, in assenza di memoria e referenti, un genere a sé, basato sull'implosione, l'attesa ed i paesaggi. Ma quanta di questa musica si basa sugli questi elementi? A voi la scelta...
Altro programma (quindi altro software) per l'irrequieto Species of Fishes, seconda uscita Tourrette. Dalle poche note interne al disco si legge che il lavoro è stato concepito sui campioni di "Songs of a dumb world" e "Trip trap" di Muslimgauze, che evidentemente non avrà inciso e forse nemmeno ascoltato i risultato di questo lavoro composto da 11 brani assai simili tra loro. Mi sembra di ascoltare le parti elettroniche dei lavori dei Legendary Pink Dots ed un Felix Kubin con un braccio solo completamente depresso! Cosa c`è nel disco? Ci sono delle voci riverberate, alcuni beats presi a caso dalla valigetta di un dub-dj un po` attempato, e parecchie macchine modulari che tentano di sorprendere con effetti speciali triti e ritriti. Il risultato è noioso (track 2), in alcuni casi obsolescente (track 3, ma tutto il disco lo è), qui e là ci sono delle riprese impreviste (lo spirito dei Coil nella 5, quello di Frank Bretschneider nella 8) e qualche ottimale spunto che palesa ascendenze Komet ((track 9)... tuttavia forse piacerà ai nostalgici della musica degli inizi 90 ed a coloro che hanno amato i primi lavori della Raster-Noton, ma farebbero prima e meglio a ripescare gli originali; tutti gli altri non hanno alcuna ragione per avvicinarsene.
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