A Claudio Rocchetti voglio un bene dell`anima e devo anche parecchi favori, quindi sappiate che mai e poi mai credo potrei parlare male di un suo disco.
Infatti non ne ho mai recensiti.
Questo perché, onestamente, al di là della simpatia e stima che ho per lui, la sua musica non mi ha mai fatto impazzire. Ho apprezzato il suo precedente CD (ormai lontano, 2003, Bar La Muerte, “A Work Called Kitano”), ma le sue scomposte e sfuggenti strutture massacrate a colpi di giradischi, CD-J e manipolazioni varie mi lasciavano piuttosto freddo. Un po` meglio il misconosciuto su s`agita “But Speak Fair Words”, ma anche quello, come dicono gli inglesi, non è la mia tazza di tè. Non parlo poi dei concerti, di cui apprezzo molto la potenza noise e la presenza scenica, le dinamiche estreme ed i picchi di volume, ma anche di quello non sono più un grande fan.
Dunque, quando ho avuto modo di ascoltare questo disco, mi sono sorpreso di potergli per una volta dire `questo sì che finalmente mi piace`. E non mentivo. Con “Another Piece of Teenage Wildlife” (titolo che si adatta a meraviglia non tanto ai suoni del disco quanto alla personalità del suo autore), Rocchetti cambia completamente registro e si concentra su una musica sperimentale lieve, a tratti anche molto malinconica, quasi mai destrutturata ma anzi costruita per transizioni sfumate tra uno stato ed il successivo, vicina a Steve Roden e lontana anni luce da Merzow.
Rispetto ai precedenti ed ai live il disco guadagna molto anche in varietà , tanto da ospitare anche ben tre voci, dalle due femminili di Madame P e Margareth Kammerer a quella del compare nei 3/4HadBeenEliminated Valerio Tricoli. Ed è forse dall`esperienza con questi ultimi, nonchè forse da altre frequentazioni del vecchio giro Bowindo (Ielasi su tutti, qui peraltro al mastering) che Claudio sembra apprendere un maggiore gusto per la melodia e le atmosfere sfumate.
Si passa dunque dai filed recordings in apertura di It was Purely Accidental, He Said ed alla sua chitarra effettata (forse il pezzo più “3/4” del disco), alle note di piano vintage dell`intro, all`ambient dagli accenni glitch di We Got... (mi ha ricordato Davide Balula), fino alla tesa I Miss you Like Hell, che sfocia in una chitarra sporchissima e dolorosa, a voler purtroppo ricordare che questa non è musica per rilassarsi.
Chiude la ballata per basso I`m Broken, I just wanna Go Home, un pezzo che potrebbe essere uscito da un disco di Vincent Gallo, ma dalle sonorità quasi new wave, come del resto sono tutti i titoli del disco, che riletti l`uno in fila all`altro sembrano raccontare la storia di un`esperienza dolorosa, a tratti soave, intrisa di malinconia ma comunque profonda ed indispensabile. Come questo disco. Bravo, amico mio.
|