In un momento in cui molta musica indipendente accampa pretese intellettuali (e di spessore) più o meno lecite a seconda dei casi specifici, in un'era in cui molto jazz istituzionalizzato, seguendo le parole di un Ken Vandermark inferocito, rischia di ridursi a musica da salotto, esiste un piccola realtà improvvisativa bolognese che "pensa globalmente ed agisce localmente" val la pena di tenerla d'occhio. Guazzaloca avevo avuto modo di ascoltarlo nell'interessante rielaborazione di melodie svedesi nel cd dei Samsingen (uscito per la Amirani), lui e Briscoe hanno rodato dita e fiato in forze ai Comanda Barabba (gruppo jazz bolognese che ha un cd all'attivo coprodotto con Radio 3 Rai) e finiscono per affinare ulteriormente l'intesa in duo. Che il lavoro dei due stesse riscuotendo un certo interesse era un'informazione nella quale mi ero incappato più volte tramite alcuni dei soliti ben informati, ma che il disco avesse trovato casa nella scuderia della Leo Records, beh, francamente questa è stata una vera sorpresa, anche se quella più grande è arrivata quando ho iniziato ad ascoltare il disco. Come giustamente mi faceva notare un vecchio amico, i duo sono legati a doppio filo con il jazz anche per il fatto che non ci si possa nascondere, oltretutto spesso è facile che vengano a noia nonostante la tecnica eccelsa e le buone idee, vuoi per la ripetizione delle soluzioni, per il suono o per altre ragioni. Il duo italo-inglese invece se la cava egregiamente innanzitutto grazie alla sintonia, probabilmente maturata lungo il percorso e poi per merito della capacità di coniugare senza troppa vergogna una serie di influenze più e meno contestualizzabili/te e sviluppate secondo un gusto del tutto personale. "One Hot Afternoon" tiene fede al titolo e non si nasconde dalla melodia, ma neppure dalla volontà di incupirsi e di flirtare con la musica classica (come d'altro canto molti altri jazzisti) per non dire con il blues (anche se vi come potete immaginare non è il caso di aspettarsi un disco stile Blue Note). Le tracce si compongono sia di momenti scritti che di "libere uscite" senza troppe regole, più che di solos negli stralci in cui non suonano contemporaneamente parlerei di scrittura estemporanea e di una grande capacità di stare al proprio posto. Azzarderei che se in questo il jazz è stato per molti musicisti una lezione di vita, per i due le lezioni sono state apprese avidamente dalla prima fila. Tracce di diverse lunghezze, un paesaggio misto fra abbozzi e temi sviscerati fino all'ultimo pensiero, melodie che si rincorrono, consonanze, scatti, contrapposizioni e marcette dipinte su di una tela che ha una sua forte fisionomia. Indipendentemente dalle enormi qualità tecniche, Guazzaloca e Briscoe fra le varie frecce al loro arco possono contare sulle idee e sul fatto di essere stati baciati dall'ispirazione. Nonostante l'ironia e il divertissement, Briscoe e Guazzaloca assemblano un lavoro che va molto a fondo e che sembra lasciare ben poche cose inespresse. Non saprei se sia più autosuggestione o il fatto che sia normale cercare di trovare un senso alle cose ma resta che fra i percorsi in parallelo, le sospensioni, i contrasti e le attese, ho avuto veramente l'impressione che si trattasse di un caldo pomeriggio estivo: immobile, afoso seguendo un percorso che incontra una città svuotata in cui i protagonisti assoluti diventano quei muri e quegli angoli che cercano di sottrarsi al sole. L'ottimo lavoro di registrazione riconsegna tutto il calore degli strumenti e dei due strumentisti, un bene visto che nonostante tutto si tratta comunque di un disco in cui il calore è fortemente caratterizzante. In tempi in cui Veltroni si arma di dizionario per tradurre Obama finendo per appropriarsi di uno slogan che fu di Branduardi molto tempo prima dell'afro-americano, lo spirito di un certo jazz (perchè parlare di 'jazz puro' sarebbe triste e restrittivo) ha un futuro, e soprattutto ha un presente.
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