Nella musica dei SO! convivono due anime, ben distinte fra loro eppure perfettamente complementari. La prima assimila la lezione della psichedelia, rielaborandone gli influssi alla luce di quanto fatto dai Sonic Youth e in particolar modo da certo Post-Rock nell'arco dello scorso decennio. L'altra, più viscerale, ama indugiare in monolitici riff post-sabbathiani - spesso impostati su contorti tempi dispari - muovendosi su di una linea immaginaria che congiunge i King Crimson al moderno Math-Rock, l'Hard dei '70 al Grunge e allo Stoner. Insomma, per quanti in termini di ascolti si siano formati negli anni '90, come è molto probabile che sia capitato ai SO!, questo "Stolen Time" ha da offrire quanto di meglio si possa desiderare.
L'opener I Hate Candies parte come una violenta cavalcata Hard, sostenuta da un basso rombante e monocorde, per poi proseguire fra stop & go repentini e cambi di ritmo. In sottofondo, voci filtrate sono a malapena percepibili. La successiva Leg Godt si apre invece a sonorità maggiormente rilassate. I riff ipnotici partoriti dalle due chitarre e il piano elettrico suonato da Messere conferiscono al pezzo un'atmosfera lisergica che nemmeno l'irruzione del distorsore, sul "ritornello" tipicamente Seattle-sound, riesce a guastare. Le virgolette sono qui d'obbligo: ai SO! non interessa scrivere canzoni nel senso tradizionale del termine, quanto piuttosto composizioni aperte, quasi del tutto strumentali, in cui il ruolo dell'improvvisazione è fondamentale. Eppure, se Leg Godt fosse provvista di un testo, potrebbe diventare un pezzo dall'impatto immediato. Circostanza che, a parere di chi scrive, la rende in un certo senso una grande occasione mancata. It's So Hard To Think si mantiene sulle stesse coordinate, con le chitarre abbandonate ad arpeggi circolari, i discreti interventi di Messere al sinth, ed un cantato/parlato che ricorda Slint e June of '44. La struttura è in questo caso più labile, le singole parti non tornano a ripetersi e dopo un intermezzo Hard che alterna 7/4 e tempi regolari gli strumenti si perdono in divagazioni psichedeliche. Puccettino!, rock'n'roll spedito e trascinante inframmezzato da break cadenzati, si riallaccia al discorso interrotto con la fine della prima traccia. Uno splendido pattern di batteria caratterizza Mammoth's Step: da principio quasi sospesa nel vuoto, quindi pesantissima e 'desertica'. Senza alcun preavviso, un cambio di ritmo sostenuto dal suono metallico del basso fornisce la base per le improvvisazioni free-form dell'ospite Giampaolo Signore, qui al sassofono. Love For Sunday Driver, dall'incedere lento e ossessivo, è strutturata intorno ad incastri ben studiati fra i riff delle due chitarre. Experimental Man With A Horse rivela un'atmosfera pacata, quasi pastorale, in cui torna a fare capolino il piano elettrico e una chitarra svolge in sottofondo funzione di disturbo. Forse il pezzo migliore dell'intero album. In chiusura, Under The King's Control (che si tratti proprio del Re Cremisi?) si staglia monolitica ed inesorabile. Una chitarra sostiene il riff principale, l'altra, acidissima, taglia attraverso il muro di suono come un laser. Ancora una volta un improvviso cambio di tempo, su cui si affacciano le voci, filtrate ed incomprensibili. Sulla coda il pezzo si fa sognante, portando il lavoro alla sua degna conclusione.
"Stolen Time" è un'opera ben suonata e ben prodotta. I SO! si dimostrano ottimi musicisti, esperti artigiani nell'arte dell'arrangiamento e padroni dei propri strumenti. Se ci sono delle critiche da fare loro riguardano fondamentalmente le scelte stilistiche che, in quanto tali, non possono venir giudicate secondo criteri oggettivi. A titolo personale dirò quindi che ho trovato l'ascolto di "Stolen Time", a tratti, un pò pesante. Chi scrive non è mai stato un amante del Post/Math-Rock ma credo si possa affermare che una musica basata sulla sperimentazione ritmica e in prevalenza strumentale non sia di facile fruizione per nessuno (e forse non vuole esserlo, obbietteranno gli autori!!!). In ogni caso, suggerirei ai SO! di aprirsi alla possibilità di inserire le voci nelle proprie composizioni in maniera più consistente di quanto fatto fino ad ora, come già è successo per strumenti come il sassofono e i sintetizzatori. Potrebbe essere un buon sistema per far germogliare i semi già evidenti nel loro lavoro e, forse, aprirli ad un pubblico più vasto.
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