Giust e Gebbia non sono sicuramente dei nomi nuovi, facendo parte di quella categoria di musicisti che hanno suonato con chiunque e su questo o su quel disco, nulla di più facile che abbiate almeno sentito qualcosa. Un giorno meriterebbe che qualcuno si prendesse la briga di scrivere un articolo su questa categoria di persone che suona stile soldati di ventura nell`Europa dei mercenari, anche perchè sono i corrispettivi di gente come Tom Cora, Fred Frith, Marc Ribot, Gino Robair giusto per citare alcuni dei nomi più famosi. Per Gebbia mi sento anche in dovere di aggiungere che non si è mai troppo parlato di quel disco in trio uscito un po` di anni fa su Wallace, quello in cui incrociava le ance con le corde di Massimo Pupillo e le bacchette di Lukas Ligeti (figlio di cotanto padre), il disco si intitolava “The Williamsburg Sonatas” ed era veramente bello, parola di lupetto. Ho sentito molti dischi in duo e continuo a farlo, da quello che avrete notato nel circuito jazz (o che da esso si sviluppa) sono un po` una consuetudine più che in altri ambiti, c`è chi dice che questo dipenda dal fatto che in due sia difficile `nascondersi` soprattutto durante un`improvvisazione, resta che pur avendo la casa piena di ottimi lavori spesso finiscono per piacermi sempre con riserva, tanto più se `tradizionali`. Tanto per non confondervi troppo le idee diciamo subito che `tradizionale` va preso con le molle in questo caso, però senza dubbio, a differenza di altri lavori che hanno coinvolto questi due musicisti, si tratta principalmente di musica ben contestualizzata in ambito free jazz e senza vergogna di esserlo. Proprio perchè fortemente contestualizzata il rischio è doppio poichè è facile venir schiacciati dai paragoni, nonostante ciò la cosa che mi ha colpito fin da subito dell`accoppiata Giust-Gebbia è proprio l`espressività . Credo che molto del fascino che ho trovato in questo disco dipenda dalla complementarità del modo di suonare dei due: se l`impronta di Gebbia, soprattutto dal punto di vista melodico, è fortissima tanto da divenire pregnante per quanto concerne la fisionomia melodica del disco, è altrettanto vero che Giust si adatta come direbbe un inglese `hand in glove` al modo di suonare del sassofonista. Il risultato è un disco neppure troppo scomposto dal sapore `free jazz` melodico di grande gusto, retrò nel senso buono del termine dove invece di ricadere nel passatismo si adatta ad un background probabilmente condiviso sia da Gebbia che da Giust, la personalità però permette loro di staccare rispetto alla semplice citazione. Un vecchio amico direbbe che qui sta la grande differenza fra l`improvvisazione ispirata e quella puramente onanistica, nel caso di “Duets” c`è passione, anzi direi che lo stile di Gebbia (molto caldo per altro) si impernia di passione dalla prima all`ultima nota tanto da rendere interessante quello che molti duo (soprattutto fiato-batteria) finiscono per far risultare un po` come un binario morto. Se Braxton e Coleman a piede libero sono troppo `astratti` e siete per una via più morbida, questo disco potrebbe essere la soluzione ideale. Sono pronto a sconfessare la frase che sto per scrivere, però direi che in questo disco, in questa scelta delle melodie si potrebbe persino trovare una specie di retroterra tutto italiano nel modo di suonare jazz, so che è una frase forte e un po` poco chiara ma parlo di una specie di trasposizione del linguaggio, una specie di percorso inverso all`idea di `lost in translation`, qui nella traduzione l`abito si rinnova con tonalità trovate in casa, questo forse è un po` il fascino di questo lavoro.
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