John Banville (a.k.a. Benjamin Black) ha scritto un grande romanzo noir che un po' ci ricorda il Léo Malet migliore, con la differenza che l'ambientazione non è quella della malavita francese ma quella della gente bene irlandese, quando i ruggenti anni '50 prospettavano un futuro roseo ma ancora dominava la paura della guerra e della carestia. Banville ci mostra questa Irlanda dove la legge che regola i rapporti umani, anche quelli familiari, è l`ipocrisia. E qui il commento pare logico: tutto il mondo (civilizzato) è Irlanda! Il noir è una scusa per mettere a nudo i protagonisti, per mettere a nudo una rete di rapporti affettivi falsati dalle apparenze, laddove non esiste una verità complessiva, ma questa va ricostruita come un puzzle tramite quei piccoli brandelli di autenticità ai quali ognuno si attacca come una cozza allo scoglio. Sembra che la stessa penna dell`autore, che pure è tagliente come un coltello, faccia fatica a lacerare il telo di omertà che copre come una densa nebbia l`intero intrico delle vicende. E Banville procede così, a piccoli strappi che lasciano intravedere solo una spanna al di là del punto in cui il lettore va brancolando. La vicenda prende così corpo pian piano, sfiorando leggermente quella del film “Magdalene” (lo ricordate? Leone d`Oro al festival di Venezia del 2002) e mostrando una cultura cattolica (o almeno un settore ben specifico di essa) depositaria della barbarie. Ma perchè Malet? Perchè in ultimo non c`è redenzione e ognuno si porta dietro le proprie colpe insieme al proprio destino. Assolutamente da leggere.
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