Ci sono casi in cui all'ascolto di un disco balzano subito alla mente altri artisti, paragoni, rimandi, citazioni, eguaglianze. E` assai brutto il caso in cui vanno tutte in un'unica direzione, e lì viene da parlare di plagio, o scopiazzatura. Quando invece ad essere evocati sono tanti differenti gruppi, allora forse la mistura riesce ad avere qualcosa di nuovo ed una sua intrinseca valida identità .
Infilato nel lettore questo "Tears of the Valediction" la stanza si è riempita delle figure presenti, passate (e chissà forse future) di Arcade Fire, Pere Ubu, Animal Collective, Xiu Xiu, Bad Seeds, Crime and The City Solution e forse altri dei quali il nome resta sulla punta della mia lingua senza prendere forma.
Non c'è dubbio che l'enfasi del cantato di Carey Mercer e le sue scorribande tra urla e invocazioni siano in qualche modo figlie di David Thomas (quello dei bei tempi) e non spiacerebbero ai fan di Jamie Stewart, ma non è solo da lì che questa musica indemoniata e indomabile prende spunto, tanto che ci ho messo un po` ma lì in mezzo ho colto pure lo spettro di Bowie.
A tratti emerge una gioia che è quella del suonare stesso, una sorta di versione isterica e senza fronzoli folk degli Arcade Fire; sarà che sono canadesi pure loro? Altre volte si sconfina nella goliardia un po` drogata degli Animal Collective, ma senza l`autoindulgenza di questi ultimi.
Sanno essere estremi senza esagerare mai, questi Frog Eyes, cosa difficilissima, anche quando la tirano i brani in lungo con code tra il noise ed il post rock (Caravan Breakers), oppure nella splendida Bushels, che per enfasi e sincera disperazione mi ricorda i Bauhaus di Flat Field.
Brividi, e senza fronzoli: chitarra, voce, basso, tastiere e piano. Sembra quasi facile.
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