Li ho scoperti per puro caso tramite un amico americano che me li ha mandati perchè evidentemente a lui facevano schifo e gli spiaceva buttare il CD, poi mi sono ritrovato ad ascoltare questo mini-LP decine di volte.
All'inizio è stato forse un po' duro da digerire, complice un mixaggio che non potremmo definire delicato, viste certe dinamiche da salto sulla sedia, eppure l'insieme risulta raffinato, a tratti quasi cristallino.
Ve ne sarete accorti, ci sto girando intorno più del solito: difficile parlare della musica di questi quattro giovani americani. Nella press sheet leggo un quasi imbarazzato parallelo con i (soliti) Joy Division, dei quali essendo un adoloescenziale fan nutro una certa stima e di conseguenza non tollero di buon occhio chi pensa che gli Interpol gli assomiglino. Nei Joy Division c'erano una rabbia ed un rifiuto di certi aspetti della vita che parevano del tutto sinceri, quasi primordiali, ed erano espressi con forte efficacia comunicativa. Questi Artifact Shore a tratti riescono proprio perchè sembrano anch'essi intrisi della medesima urgenza comunicativa, dello stesso disagio, della stessa rabbia, dove tutto questo è però trasportato ad oggi, con la lezione di quanto c'è stato prima e durante. Troviamo quindi nell'apertura delle ritmiche sfuriate noise degne degli SPK di "Information Overload Unit" accostate ad un cantato distante e melodico prettamente new wave (ma sempre filtrato). Spiazza dunque il quasi pop chitarristico (ma la batteria è sempre metronimica) della titletrack e poi la ballata depressa Insight (sarà una citazione?) & Action, forse la traccia più debole del lotto, tanto che davvero potrebbe essere una The Eternal meno efficace. Sale in cattedra l'elettronica con Stupid Coma, ottima con il suo giro di basso New Orderiano (siam sempre lì) e poi la chiusura solenne di On the Banks of Black, quasi allegra.
Forse se si chiamassero "The Artifacts" e vestissero da fighetti potrebbero finire in TV, invece le loro asperità (che spero vivamente conservino) permettono loro di essere un qualcosa di più che dei meri epigoni. A qualunque amante della new wave (ma non solo) li consiglio vivamente.
Due parole da spendere per la ristampa del loro primo mini LP, il grezzo "Welcome Home", dove in un mixaggio davvero pessimo le chitarre sono sommerse dall'elettronica, ma nonostante questo riescono ad emergere le buone idee che hanno portato poi al qui sopra recensito "Fun is Near". Consiglierei al quartetto di riprendere queste tracce e portarle a compimento o a nuova forma, perchè non meritano il dimenticatoio.
Bellissimo il packaging, un cartonato nero con incisioni martellate, ottimo per fare il paio con il digipak dal grazioso desing retrò dell'altro EP.
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