Casa Trasponsonic procede spedita nella sua opera di annullamento della distanza fra cielo e terra.
Questo “Mnetha”, di India Von Halkein, è un incestuoso ed allucinato connubio fra estasi e perdizione (spesso convergenti...); sacra ritualità ed eccessi di parossismo intossicante.
Altezze vertiginose; sospensione e caduta libera.
Le ali in fiamme.
L`esatto istante antecedente il divampar della prima scintilla, l`appuntamento imprescindibile con l`esplosione del bianco assoluto, questo; pare essere il punto di arrivo di tutta la produzione Trasponsonic (“Mnetha” ne è conferma...).
Una concezione che unisce terra riarsa e schede madri incrostate, narcosi spirituale ed abissi drogherecci da fumeria d`oppio imparanoiata.
Bellezza; visione.
Spunti ellittici etnici (in lungo ed in largo...), ombrosità dark/wave, scatafasci armonici fra prog in fase post-collasso e lisergia piana e distesa; qualcos`altro che dimentico.
Dell`altro; c`è sempre dell`altro.
Dalle parti indifferentemente degli SPK di “Zamia Lehmanni” quanto dei Suicide, Doors persi sotto la pioggia e Savage Republic, la scuola tutta di Los Angeles ed i Test Dept prima, molto prima della sbornia rave, Zoviet France e Rapoon senz`altro, ma anche This Heat e la claustrofobia dei primi Wolfgang Press, ed ancora, a ruota libera e briglie sciolte, i Quicksilver di Maiden Of The Cancer Moon e Calvary, Webcore; Oroonies e Talk Talk.
Ma sono soltanto indicazioni e pretesti di massima zoppicanti; India Von Halkein è ruggine che segna a fondo la materia.
Vocalità effettata/allucinata, penitenza tribale, circolarità digitalizzata ed abbandono ritmico romantico.
Camere, grotte, spazio, buio, luce improvvisa; Florian Fricke nell`interno copertina di “In Den Gärten Pharaos”.
Quello che non c`è più e quello che si immagina/si vorrebbe; esserci.
Āranyaka e Phantasmata sono luoghi che concedono spazio, infinito prima; costrizione e claustrofobia poi.
India Von Halkein è nube in continua lotta con il sole.
La pioggia poi.
E l`altezza anche in questo caso; c`entra di nuovo.
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