Minimale quanto il sempre bellissimo artwork di Setola di maiale, questo brevissimo e frammentato disco dei Genovesi St.ride, di cui ci occupammo ampiamente su queste pagine nel 2007, prosegue un discorso di decomposizione della materia musicale (ma non sonora) già iniziato nello splendido “Piume che cadono”.
I tre, che vedono qui al centro il folle saggio Mongoholi Nasi e la sua voce sincopata, lasciano pressochè inalterati i suoni della loro musica, in controtendenza rispetto a tante altre correnti sperimentali odierne, dal glitch al noise più estremo.
Quindi ad essere fatta a pezzi è la composizione, in una serie di rimandi tra gli scampoli di trombettii, singhiozzi, percussioni elettroniche in odor di preset, corde di chitarra pizzicate, soffi, oggetti sfiorati. Qualcosa quindi di molto più vicino al jazz improvvisato, ma con un`aura molto celebrale, un discontinuum nervoso che, mescolando a piacere sempre gli stessi elementi, riesce di volta in volta a suscitare calma, nervosismo, passione, rabbia, mai noia.
Un disco davvero interessante, lontano dal computer ma al tempo stesso probabilmente apprezzabile dai fan della laptop generation che vedono la macchina come ausilio alla composizione e non al centro del processo creativo. Sfido chiunque a riconoscere un plug-in in questi 17 intensi minuti (forse un paio di riverberi).
Il massimo sarebbe sentir andare gli St.ride ancora oltre ed inserire altre fonti sonore nel processo: ad ascolti ripetuti il (volutamente) basso numero di strumenti utilizzati penalizza un po`.
Inarrivabili come sempre i titoli geniali dei brani, grazie ai quali ogni disco degli St.ride acquista per me molti punti in più ogni volta.
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