L`islandese Hildur Ingveldardóttir Gudnadóttir è una lucente violoncellista che da una pugno di anni concorre col suo talento a valorizzare il panorama indipendente in quel di ReykjavÖk. Della sua eleganza ne hanno (giustamente) approfittato tanti personaggi dell`avanguardia tout cour: da
Skúli Sverrisson ai Pan Sonic, dai seminali Throbbing Gristle ai contemporanei Schneider Tm, Angel, B.J. Nilsen, Stilluppsteypa e Múm, che la rendono partecipe anche del nuovissimo “Go Go Smear The Poison Ivy”. Insomma, un bel tipetto tuttofare, un`anima infermabile che si scaglia a capofitto nelle esperienze più diverse, le quali l`hanno sospinta a confrontarsi anche con stilemi popolari nei Nix Nolte Big Band: trio battezzato in complicità con due affiliati dei Múm che, sotto visuali distorte, si ingegna a restaurare canovacci mitteleuropei, bulgari e balcani. L`amore per la tradizione, per il caldo tepore concesso da musiche lontane, favorendo ovviamente i colori del Nord, può svelarsi, in una splendente veste sperimentale, anche nell`inenarrabile parto solista “Mount A”: album sulla lunga distanza siglato con il moniker di Lost in Hildurness, composto e suonato in prima persona, non soltanto con il beneamato violoncello ma mediante una complessa azione polistrumentale che annovera viola da gamba, piano, voce, zither, gamelan, morin khur e vibrafono. Proprio nella presenza di precisi strumenti etnici come lo zither (una specie di antica arpa da tavolo del nord europa), i gamelan e il morin khur (oggetto simile ad un violoncello, con due corde, adoperato particolarmente dalle popolazioni mongole) che si intuisce che il mood di Hildur è fermamente venato da una fantasiosa aria di misticismo: drone-music felpata e nostalgica, minimalismo fatato e romantico ed un pizzico di aria colta galleggiano, dal principio alla fine, con grazia, gentilezza e meditazione. E` molto arduo tracciare un tragitto che ipotizzi vicinanze artistiche con le arie stregate di “Mount A”: le sole ipotesi balenate in mente presentano una vicinanza della nostra con un pioniere del minimalismo, quale Phil Niblock, e con un compositore dalla mano estasiata, come Hilmar Örn Hilmarsson, che nella lontana colonna sonora di “Children of Nature” (edita dalla Touch nel 1993) stringeva una commistione di paesaggi mesti e, nello stesso tempo, speranzosi.
Le piste sono registrate in due fasi differenti, divise tra la Grande Mela e una nascosta residenza medievale, denominata Audunarstofa: luogo costituito per intero da legno norvegese che dona, specialmente alla registrazione del violoncello, una pregevole acustica. Questo prolungato sogno di meravigliosa incoscienza apre con schemi pensosi e un tantino inquieti (Light e Floods), lasciandosi pian piano andare a maggiori sbocchi melodici (la velata textures dello zither sullo sfondo di Casting ne è un primo assaggio) e a intercambi di ritmo e stile più marcato (il sapore lontano di Glass in Shadowed e Growth e la colta ricchezza di elementi della `piangente` Self faranno scappare qualche lacrimuccia di un`indefinibile felicità ). Romantico, spacca-cuore, un`impeccabile dichiarazione d`amore per la musica e per la dolcezza in essa contenuta: questo è “Mount A”, un cd che si farà custodire gelosamente come un tesoro d`altri tempi e che invaderà , da ora all`eternità , i lettori cd di chiunque, prode sognatore, deciderà di varcarne la soglia. Una volta entrati sarà impossibile farne a meno.
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