Quando gli epigoni di Mogwai e GSYBE non si contano più, ecco che iniziano a spuntare anche musicisti che sono forse un po' troppo vicini al modello di Sigur Ros e Low. E' appunto a questi due ultimi che i Gregor Samsa si rifanno con una certa esplicità vena che però, come in altri casi, non si limita ad essere imitativa. Dagli islandesi mutuano i crescendo verso esplosioni ritmiche cadenzate e lentissime, con un orecchio sempre attento per la melodia appoggiata sui toni in minore, mentre dai Low prendono l'uso della doppia voce maschile-femminile e gli a volte strascicati pezzi al rallentatore ( The Points Balance). Il tutto però con anche una vena pop sincera e al tempo stesso un contraltare più sperimentale, che ricorda quasi gli inimitati Piano Magic.
In questo modo i quattro di Richmond riescono nel difficile intento di creare comunque un album che finisce per risultare sincero (e certo meno pretenzioso delle ultime prove degli islandesi), dal forte potenziale commerciale e al tempo stesso di buona caratura artistica, come ormai quasi tutte le proposte della lussemburghese Own Records, ad oggi una delle più promettenti label (non solo) pop europee.
Episodio più valido del disco, forse Even Numbers, che con il suo incedere iniziale alla Labradford (zona prima traccia di “Mi Media Naranja”) e l'esplosione di violini riempie l'aria di un pathos raggiunto solo dagli Swans di “White Light...”, chiuso poi dal cantato (non particolarmente personale ma certamente gradevolissimo della voce maschile prima e femminile poi (molto vicina ai Mum), per poi esplodere ancora. Epico e dolcissimo allo stesso tempo.
Menzione speciale per il packaging molto minimale: cartoncino grigio quadrato con albero in nero a rilievo, avvolto da una striscia bianca adesiva contenente solo i titoli e le scarne note.
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