Sono lontani lontani i tempi dei Labradford; i suoni s'incrociano, poi si dirigono sempre verso la contumacia e somigliano al nettare delle api ma forzarli, storicamente, è un'impresa impossibile. I revival, oggigiorno, avvengono al suono della luce; ma forse è sempre stato così; eppure viviamo nei tempi dell'immanenza, meglio di ogni altra era, e così ogni cosa è accessibile, possibile, scaricabile in tempo reale, attuabile. Questo disco mi giunge a quasi un anno di distanza, come fosse fatto oggi, domani, o quando non ascoltavo ancora musica: e questa è già una prima lezione importante perchè significa che il tempo non fotte niente, se certi materiali fottono il tempo lasciandoselo alle spalle, incuranti di apparire, di fare quelle esplosioni che sono soltanto chimere perchè non permangono. Anche la musica, sottoposta a questa sorgente immanente ed istantanea, raccoglie nel suo farsi, i passati ed i presenti, e se c`è un tempo, dentro un filone sonoro, i dischi che arrivavano dopo, sono soggetti a ripetizione sfasate, a copie carbone; adesso, eppure ora che abbiamo ascoltato tutto (ma non è affatto così), le cose si movimentano da sole, ed anche i generi sonori, insieme ai loro referenti primi, non sono più possibili; sono continuamente 'nuovi', si riscrivono come fossero sorgenti magmatiche, non restano (taluni lavori) imprigionati dentro il marasma del fatto. Mirt, è uno di quei dischi che, 5 anni fa, se non 10, avrebbe fatto storcere un po' il naso, perchè sarebbe sembrata un'ennesima rielaborazione di Prazison Lp; eppure oggi, questo disco prodotto adesso e non all'epoca, sembrerebbe contrastare qualsiasi analogia, sia perchè sono finite le mode dell'analogia, sia perchè è un disco commuovente. In queste sei traccie, figlie di moog, voci filtrare e chitarre ripetitive, si assiste ad un rito che somiglia più ai risultati del suono dei Silvester Anfang che dei Tangerine Dream (se si dovessero cercare le prime radici di Mirt). Basta prendere una sola traccia: "Servis charge" che ci si trova in una paranoia a metà strada tra INLAND EMPIRE e tutta la pittura di Rothko, con dei ritmi che si reiterano, diventano distanti, poi si ripresentano come assordamento tellurico di animalità magnetica, fino ad estinguersi come un castelletto di pietre sotto un'onda bislacca. E` nella musica islandese di Stafraenn Hakon, o nell'Australia di Rob Cooper o Beta Erko, che si trovano consonanze con l'universo sonoro di Mirt. Sono piccole rivoluzioni mancate, innesti ibridati di speranza e sangue, le composizioni assai (solo)colloquianti e oscure di questo lavoro che già dalla copertina, e dalla sua nazione di provenienza, la Polonia, si presenta come un'utopia annunciata, figlia del distacco, del dissesto e di uno strano isolazionismo termico che, tra sassofoni lontani, requie alla Windy & Carl e manipolazioni pseudo-12k, raccoglie dentro di sè le esplorazioni sonore degli ultimi tempi ma con dei risultati che hanno dell'eccellente. A questo punto non resta che riscoprire gli altri tre dischi precedenti e l'altro lavoro parallelo di Mirt, assai più vertiginoso e complesso, sotto la sigla Brasil & the Gallowbrothers Band!
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