Stanco morto dopo due notti pressochè insonni, ho ascoltato per la prima volta questo disco su una assolata Bologna-Firenze, guidando con in sottofondo le sue costanti basse frequenze che si mischiavano al rombo sommesso del motore. Forse ho rischiato di ammazzarmi, ma certo è stata un`esperienza eccezionale. Dire ipnotico è poco. Immaginate Closer, o meglio ancora Consumed di Plastikman in una versione ancora più cupa, più scabra, senza dei veri e propri beat ma comunque intriso di ritmi, qui ottenuti con droni ciclici e bizzarri cigolii (la lisergica Olympus Mons ), o perfino con suoni dall`aspetto `concreto`, come quello che pare essere il cadere di una pallina da golf su un selciato di Cydonia. Un isolazionismo ritmico, una musica dance per malati terminali, un viaggio immobile, la noia di vivere portata all`eccesso, osservata ad un tale livello di dettaglio da apparire sfaccettata ed interessante.
Perfino il difficile Frans de Waard, pur scrivendo “niente di nuovo sotto il sole” (lui che sta in Olanda il sole non lo vede spesso, forse per quello il neozelandese Seht gli pare un po` banale), ne sottolinea l`attenzione al dettaglio, la capacità di far emergere e scomparire i suoni pian piano, in un minimalismo reiterativo che forse non dispiacerebbe a Philip Glass o Steve Reich.
Certo: per un orecchio poco attento, nè più nè meno che il solito disco di drone music, ma per me l`ennesimo capolavoro dalla bizzarra Digitalis Industries.
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