"Minidisc" - questa la parola d'ordine di Gescom; questo il surrogato d'incroci testamentari, questo il supporto (tra l'altro tra i più inutili della storia della microelettronica moderna) che ci è dato decostruire in questo lavoro spudoratamente inutile come ben pochi. E` strano che la pubblicistica glitch, dopo i fasti della sua ennesima maschera riproduttiva, centuplichi qui, tra 88 traccie e troppi minuti a vuoto, un resoconto di 67 minuti che, se non fosse che siamo nel 2006, sembrerebbero usciti dalle prime eclettoniche firme degli agitatori del cut'n paste versione visionaria. Che dicotomia da spaventapasseri la trovata di scrivere a bordo tra le notarelle 'Previously released on Minidisc ONLY', perchè le informazioni, che sia un minidisc che diventa cd o un cd che diventa minidisc, quelle restano, quelle sono: si tratta di musica; si tratta sempre di trovare utile oppure vacua un'operazione che già qui si presenta da modernariato teconologista per poi giustificarsi dietro l'atto creativo della masturbazione a random e delle sigle da recupero. Si tratta di una autocelebrazione, adesso, che in tempi di stanca, forse conviene riprendere materiali già editi, e comunque non costruiti sotto l'influsso di programmini con cui fare un disco in una settimana. Come campionario Akai va bene e sono sicuro che un bel numero di dischi tra i musici futuri sarà fatto rubando campioni qua e là : perchè qui di campioni ce n'è da rubare. Praticamente medesimo, non per l'operazione, ma per il risultato fuori tempo massimo, che c'è in questo altri 70 minuti di palla gigantesca che è il disco di Kenneth Kirschner. Un lavoro, sempre sulla scia di una microsinfonica spenta, archivistica e pesantemente autocompiacente che, dei suoi movimenti sotterranei, dei suoi silenzi clamorosi tra parti che suonano tutte quante medesimamente stanche, trova un ulteriore punto di convergenza per ripetere il Günter delle prime e delle ultime maniere, eroe anch'esso affondato dentro il marasma iperconcettuale e sarcasticamente trito e ritrito in salse Rothko, se non altro apologie rivestite da criticismo post-moderno per lettori annoiati e per ascoltatori noiosi. Non so recentemente quanto la diffusione di questi materiali perfettamente puliti, lucidati e falsamente sperimentali, possa attecchire nuove orde di orecchie, e quanto questi musicisti, di cui in gran parte la stessa Italia è piena, possano trarre giovamento se non nell'ulteriore pubblicazione e nell'ulteriore trovata festivaliera. Resta il fatto che, questi materiali, che farebbero ridere qualunque compositore russo degli anni '50 e qualunque giocherellone che usa due o tre programmi coi piedi, sono profondamente offensivi e suonano in una maniera talmente pretestuosa che forse il miglior modo per legittimarli è quello di accompagnarli insieme ai commenti pecoreschi di uno dei film con Alvaro Vitali.
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