Rieccoci a parlare degli epigoni. Per ogni 'genere' musicale c'è qualcuno che, spesso suo malgrado, finisce per creare alle proprie spalle decine di epigoni più o meno bravi, e da cui spesso vorrebbe poi prendere le dovute distanze. Nel post-rock poi non si conta chi, stregato dai crescendo di puro pathos dei Mogwai abbia tentato la loro strada o chi invece, affascinato dalle complesse tessiture delle cavalcate dei Godspeed You Black Emperor! non abbia voluto provare a fare lo stesso. E` il caso di questi Absinthe (provisoire) (sì, il nome coprende la parentesi), il cui modello di riferimento sono senza dubbio i prolissi canadesi. Però accade anche che i padri fondatori con il tempo perdano la verve creativa, stemperino i toni, s'ammoscino un po`, insomma: è qui che i discepoli superano allora i maestri, così come questi francesi riescono a confezionare un album estremamente convincente.
La formula è la stessa (brani lunghissimi con momenti rareffatti ed altri carichi, passaggi dalla quite al rumore, dal ritmo forsennato alla ballata), ma con molta più ferocia dei maestri GSYBE (con i quali hanno di recente condiviso un tour).
Gli Absinthe mischiano al tutto grosse dosi di jazz (ma non aspettatevi nulla di vicino ai Tortoise) e vocalizzi strozzati, tanto da ricordare anche i dimenticati God (God e basta in questo caso).
Sono giovani ed hanno tante energie, forse sono perfino più validi a livello ritmico rispetto a tanti altri del giro Constellation, ma meno sul piano melodico. Di certo, all'interno del genere, tra le migliori cose ascoltate negli ultimi anni. Fosse stato un po' più breve, sarebbe stato 'il disco post rock dell'anno', ma un'ultima stiracchiata traccia (Love song for a Dutch Bitch) ne abbassa il voto, dove invece il momento migliore resta la davvero splendida, varia e compatta Amour-infidelité-introspection, 16 minuti di lezione post-rock.
Un disco decisamente da avere.
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