Alle volte è davvero stravagante apprendere un intreccio di suoni espanso - ma anche così anomalo, spontaneo... libero - quando la materia sonora, appena udita, è il frutto di una meticolosa fusione tra `modiche` particelle, combinate con fare spartano e lontano anni luce da qualsiasi appiglio melodico.
Un sospetto, tramutatosi successivamente in puro & schietto stato di piacere, spuntato all`esterno con ragguardevole ripetizione, tutte le volte che “Zweierlei” ha varcato la soglia del lettore...
Il Kontrabassduo è una strana creatura i cui tentacoli stringono a sé, lambendo quasi un`ossessiva condizione di genuina a-tonalità , il meglio dell`improvvisazione moderna: un concentrato, secco e senza troppi fronzoli, che parte dalla Svizzera ed arriva a disegnare sofisticate emozioni svincolate da qualsiasi regola di (patinata e ordinata) scrittura compositiva.
Dentro tale macchina, concepita dai due contrabbassisti Peter K. Frey e Daniel Studer, permea il miglior pensiero della scuola totaly-free (nord) europea; fusione odierna di apparati acustici (quali i due contrabbassi) ed elettronici, in un sol colpo, sparati a 3000 Km di velocità nella ricerca di scritture eccentriche, oscure, sul cui suono-abito (o meglio la sua ricezione all`esterno) si odono accurate attenzioni in ogni minimo particolare.
Simili tesi vengono rafforzate proprio da una delle principali facciate dell`opera, la quale è prodotta (`sezionata` chirurgicamente e IDEALMENTE) in due distinti formati che alterano non poco il modus operandi riproduttivo, qualitativo e timbrico di uno stesso brano. Ragion per cui, troviamo in prima posizione il `semplice` cd audio che consente di percepire, attraverso la consueta coppia di casse dello stereo, l`andamento impetuoso dell`opera e il moderno fratello DVD (rigorosamente solo audio) che allarga lo spettro di azione dei suoni, spingendoli nella dimensione auditiva, ben più `spaziosa`, incarnata dalla sofisticata tecnologia del Dolby Digital Surround.
Unica dissomiglianza, tra un supporto ed un altro, è la mancanza nell`ultimo caso di Und, longilinea suite conclusiva che, in scarsa mezz`ora di cammino, sprigiona al meglio delle forze un carattere elettronico, alquanto spaziale e obliquo, carico di giochetti oscillatori sinusoidali.
Tra le migliori peripezie improv-ostiche assaporate durante questa fine d`anno: un oggetto che ha bisogno di fruitori coraggiosi e pazienti, capaci di scovare anche nei fastidi più evidenti, piccole orde di piacere e di meditazione.
L`improvvisazione o, meglio ancora, i rumori del (nostro) mondo dovrebbero essere meglio compresi e accettati come degli effettivi `atti-gesti` musicali. Siamo fin troppo abituati a concepire la musica come mero e semplice canale di divulgazione melodico-sognante... il più delle volte fine a se stesso e (ben) costruito-macchinato in partenza a tavolino, lasciando da parte qualsiasi impulso che conduca ad una visione soggettiva e fantasiosa dell`artista.
John Cage era arrivato a ciò tanti anni fa scovando un piacere, dal sapore erotico, quando le proprie orecchie furono (finalmente) in grado di percepire e gustare il buon mood, melodico e non solo, contenuto in ogni suono nato e provocato dall`ambiente circostante, dalla terra in cui viviamo, dalla gente, dalle macchine, dalle pietre, dalle fabbriche... da qualsiasi elemento in grado di emettere una `propria` nota e, dunque, un suo carattere deciso. Studer e Frey ne riprendono il filo conduttore, del discorso Cageano, e lo seguono superando gli intoppi stabiliti dalla nebbia quotidiana.
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