Capita sovente di sentire De Gennaro al fianco di Alastair Galbraith in lavori complessi,
spesso infarciti di droni e suoni ostici. Succede di rado, invece, di imbattersi nei lavori solisti
di Matthew, totalmente diversi e di gran lunga più tradizionali. Questo suo disco è l'ultimo di una
serie di viaggi all'interno del folk americano ed è anche il punto più alto toccato dal musicista
finora. I cinque lunghi pezzi che compongono il disco lambiscono i dieci minuti, e sono dolci
aperture sulle lande americane, lenti paesaggi segnati da una chitarra acustica minimale,
sentimenti maliconici marcati da una armonica, droni volatili come foglie al vento.
Sinceramente poco originale, ma così nettamente superiore a tutte le brutte copie (troppe)
che si trovano in giro, questo album trasuda di ispirazione e sopratutto di buon senso,
laddove chi suona sa scegliere la strada giusta in un genere musicale che ormai, per certi versi,
non ha più nè limiti nè contegno.
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