Ricordo una vecchia intervista fatta a quella gran testa di cazzo di Pasolini in cui il nostro, incalzato da un giornalista (credo si trattasse di Biagi), confessava come gli pseudointellettuali oltre a fargli pena, gli provocassero un certo fastidio e di come preferisse di gran lunga gente non scolarizzata ma molto più genuina. Posto che se il livello medio di accettazione per un intellettuale fosse stato lui mi domando chi avrebbe diritto di proferir parola, resta che anche in questa circostanza l`uomo di Casarsa aveva colto nel segno (non per nulla in una scala da uno a dieci forse stiamo parlando veramente di un undici). Triste dover dare ragione a ad un tale nichilista, anche perchè finisce che ti ritrovi spaventosamente vicino a Pol Pot ed alla sua idea che un intellettuale stia bene solo in un campo soprattutto se trasformato in concime. Tutto questo per dire che spesso, leggendo le presentazioni e le interviste di certi gruppi e di certe etichette (e ciò accade soprattutto in Italia), è difficile non resistere alla tentazione di non guardare al mondo come ad un enorme ricettacolo di stronzate (e di stronzi) e non far scemare il piacere per qualcosa che cerebrale lo è per attitudine e non per posa. Questa premessa era dovuta per un disco come questo, visto che si trova situato all`opposto, là fra quei lavori che coniugano intensità e cervello. Se non fosse che purtroppo sia più patrimonio di musicisti ed ultra appassionati, credo che il solo fatto di leggere la firma di Claudio Lugo per le note interne, basterebbe come “bollino blu” di garanzia. Eppure come a solito, indipendentemente dalle credenziali, per gli EAQuartett parla la musica, le linee di intersezione fra gli strumenti e le atmosfere dense del disco. Due fiati, batteria, chitarra elettrica ed elettronica che fanno da impasto per la maggioranza delle tracce e che fondono musica contemporanea, jazz così freddo che fa venire in mente al più certi particolari di Aura di Davis (che non a caso è stato composto da un compositore danese), “rock” nel senso meno rispettoso dei suoi dogmi e soprattutto quella che si potrebbe chiamare “fusion ad ampio raggio”. Posso immaginare che fusion per molti ormai sia diventato sinonimo inevitabile di scadente, all`insegna di “tutte palle e niente cervello” ed invece EAQuartett si inseriscono n quel filone di “fusion nobile” che in un certo senso può includere tanto gente come i Picchio Dal Pozzo quanto gli Anatrofobia. Questo quartetto potrebbe essere la `terza posizione` fra i primi due menzionati in fin dei conti, mentre l`accostato ai primi può avere un senso per pulizia sonora ed esecutiva, si avvicina maggiormente ai secondi per rigore e per infatuazione per la musica contemporanea. Se avevate apprezzato l`innesto della chitarra di Sassi nelle “anatre canavesi” con buona approssimazione ritroverete alcune delle peculiarità che avevano caratterizzato un disco come Tesa musica marginale, i fiati invece portano ad un ambito che sì, risente fortemente del jazz, ma che è più che mai accademico nel senso migliore del termine (la pulizia: chi la ama e chi la odia). Anche la batteria in quanto a nitidezza ed esecuzione, per quanto non vada certo “dritta”, non fa mai slittare le canzoni verso le storture e le sbavature di molta musica free, anzi, vuoi per la registrazione o per l`esecuzione, se c`è una cosa di cui non potranno mai essere tacciati gli EAQuartett è di “sporcizia formale”. Electroacousticquartett in quest`idea di fusion avanzata inserisce un gusto per le melodie evocative tanto che in alcuni frangenti sembra di vedere in modo nitido delle immagini da film. Se alcuni degli eretici della Carbon orchestra si fossero liberati della mano (fatata, ma ingombrante) di Sharp ed avessero optato per delle ance sopravvissute al jazz “bianco” (ed asciutto), fossero conglobate a nozze con alcuni episodi di Evan Parker e se ancora invece che fossero approdati sulla tedeschissima ECM, forse avrei un buon metro di paragone per poter descrivere questo suono. Facile pensare ad un lavoro caldo come un weekend dentro ad un frigorifero ed invece a sottolineare il fatto che ci sia del calore, proprio il dialogo fra i due fiati a tratti riesce ad attraversare una crosta apparentemente ghiacciata. Ritornando alle credenziali e dando `a Cesare quel che è di Cesare`, vada che parliamo di musicisti con un approccio che in certi ambiti diventa sempre più raro. Quando penso al futuro dello stivale, spero solo che quando faremo il tonfo dell`Argentina accadrà tutto senza troppo rumore e senza lasciare troppi morti sul suolo, se non altro è consolante che tutto ciò succederà solo dopo aver regalato dell`ottima musica a chi rileverà tutta la ba(ld)racca...un magra consolazione.
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