Stefan Neville ci propone dodici estratti delle sue registrazioni giornaliere dal 22 settembre al 4 ottobre 2002.
Prima una serie di collaborazioni con Chris Knox, Anthony Milton e Birchville Cat Motel poi un paio
di dischi sotto la sigla Pumice e ora, infine, questa sorta di sfogo personale.
Questi pezzi casalinghi e cupi, arrangiati alla prima e suonati spesso impetuosamente su un due piste,
sono parte integrante delle radici neozelandesi dell'autore, che si espera trastullandosi con tutto quello
che gli passa per le mani. La breve traccia di apertura è formata da una gioco sconnesso fra chitarra e batteria,
mentre la seconda è il lento trascinarsi di una quattro corde su uno sfondo di echi lontani. In seguito si sale
sulle stridenti distorsioni dell'elettrica mischiate a organi, piatti e rare parti cantate tanto lontane quanto
incomprensibili. Ancora acustica, ma più trasognante, poi un breve ritornello orecchiabile completamente
trafigurato e per finire feedback, droni e manipolazioni di nastri. Pur racchiudendo dentro di se elementi
come il pop e il folk, questo disco non è di facile approccio proprio per la forte carica emotiva dell'autore,
che sfinito e stressato dal proprio lavoro mal retribuito, scarica nella notte le sue dosi di nervosismo.
Neville stesso precisa la sua situazione lavorativa nelle note e questo disco rispecchia il suo stato d'animo.
Espressione massima del lo-fi (nei mezzi), concepito come "lavoro proprio", Do Not Destroy vuole essere una
testimonianza in tempo diretto del proprio decadimento.
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