Inizio giustificandomi. Perchè recensisco un disco uscito nel 2001? Perchè nessuno, perlomeno in Italia (ma temo nel mondo intiero) si è mai accorto dell`uscita di questo CD. Chi legge forse penserà che recensioni come questa servono solo a dare sfogo alle manie di recensori frustrati che vogliono far vedere che `noi sì che conosciamo roba che manco ti immagini`, oppure che qui si voglia diffondere un qualche verbo nascosto, una nuova religione musicale.
Nulla di tutto questo. Come spesso invece accade, c`è il buon caso dietro a scelte di questo tipo. Accadde ch`io comprai un disco di tali Icoro (prima o poi dovrò anche scoprire che significa) per un euro, giusto perchè mi ispirava la copertina, ma per questo rimando alla relativa recensione di Process, appunto.
Avendo desiderato approfondire, mi sono procurato con mezzucci (che non vi sto a riferire) altri dischi di questi svedesi Icoro, tra cui il qui presente `Zoo`, che a differenza di `Process` è un CD, ha una confezione curatissima (di quelle chiamate `VarioPac`) ed è in qualche modo distribuito, perlomeno in scandinavia.
Per quel che riguarda la musica invece non si discosta molto dal suo predecessore, proponendo paesaggi sonori ricchissimi di strumenti misccelati tra loro con equlibrio e misura dal leader polistrumentista e produttore Anders Nastén. Ancora il riferimento più immediato e quello a certo progressive privo della fastidiosa (quantomeno per me) pompa di tanti dischi del genere, e quindi vicino a Porcupine Tree et similia. La più parte dei brani scorre leggera e tendenzialmente inoffensiva, forse priva di quel pathos che tanto colpiva in Process ed avvicinandosi invece più ad un concetto di musica di sottofondo, compelssa quel tanto che basta e perfino rilassata ed a tratti allegra (vd. l`episiodio Djambala). Come di consueto, il disco è suddiviso in sezioni, tre per la precisione: Credo, Fusion e Signal, per un impianto concettuale tutto basato su (mi pare di capire) dubbi e incertezze a suggerire un panorama di spaesamento rafforzato dal pupazzotto “urlo di Munch” fotografato in ogni posa e dalle tante domande scritte qua e là nell`artwork, tra ironia e filosofia (?).
Insomma, un disco fottutamente bizzarro che lascia spiazzati e di cui si apprezzano forse di più la cura nel suono e nel montaggio che i riferimenti concettuali e la musica in se`, a tratti vicina anche al jazz come all`ambient e forse meno bella che in Process, vuoi anche per la presenza davvero imponente del suono di `glasses with water & beer can` in molti brani... ma certe stranezze mi fanno sorridere e non storcere il naso, quindi ben vengano gruppi come gli Icoro.
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