In quanti modi si può entrare in possesso di un disco? Un milione? Il migliore che son riuscito a sperimentare in tempi recenti è stato riceverlo
direttamente dalle mani del suo autore durante il pogo nel bis di un concerto
dei Deerhoof. La filiera è perfetta: c'è un produttore, c'è un consumatore e
tutto intorno c'è Musica Alternativa.
Preambolo. Lo scorso 11 aprile mi svacco sulle poltrone del "Pirobutirro", il mio locale pistoiese preferito. Suonano (Justin) Vollmar ed Elephant Micah,
due cantautori off di grande charme e amarezza propositiva (specialmente il
primo). Vien fuori che prima di loro si esibirà un terzo personaggio, non
annunciato: un giovanotto misterioso very American (da Berkeley, California, tra i venti e i venticinque anni), per caso a Firenze da un paio di settimane e per caso amico dei due musicisti in questione. Si arma di chitarra classica 2/4 (con quei ditoni!) e attacca con Moonshiner, il tradizionale hillbilly che conosco nella versione disarmante di Dylan e che lui butta là seguendo la pista degli Uncle Tupelo. Il fatto mi entusiasma al punto che decido di perdonargli qualunque scivolone da lì in avanti. Meglio così, chè in quel quarto d'ora non è che azzecchi tutto particolarmente bene; ma quel timbro di voce sì che funziona! Afono quanto basta (quanto basta?), perfetto per andare e tornare sulle quattro piste di un nastro magnetico: così me lo immagino.
Fossimo negli anni Novanta lo chiameremmo 'slacker', o tempora! Peccato che gli anni Novanta siano finiti da un pezzo. Vero?
Allora il tale si chiama semplicemente Joel Pickell. Con quella stessa voce
sorda si pone domande complicate sulle ragioni politiche dei gruppi prog-rock italiani degli anni Settanta, ammette che qualche volta Will Oldham è noioso e lo prende pure un po' per i fondelli («Vai Will! You Will Miss Me When I Burn!»), si mette di fronte all'evidenza dei 'Veri Problemi' del Linguaggio del Rock e di quanto sia necessario o fuorviante aderire a una base culturale, tira fuori sentenze banali ma grondanti verità come un vangelo («Bisogna essere molto bravi per suonare da schifo». Capirai: come te li spieghi, sennò, i Guided By Voices? E i Velvet Underground?). Riferimenti: Bobby Conn (che forse non ama, cafone e punto malinconico) messo a terra dagli Uncle Tupelo di cui sopra (che proprio gli piacciono, insieme ai Genesis, a James Taylor e alla 'christian music' dei '70. Dimmi se non è punk), Elton John fuori moda beccato con le dita nel naso ai bordi di una strada di mattoni gialli, batterista metallaro estimatore dell'hip-hop Anticon che si compra una chitarra da due dollari e incide il proprio dissenso su un registratore a bobine. Già nel 2003 era apparso sulla sgangherata compilation "Krismus Karuls" della Sounds Are Active, cui partecipava con un bel pezzo di poesia casalinga, Don't Be Scared There Is a Saviour, poi recuperato e leggermente riarrangiato anche per questo EP (il maniaco del raffronto troverà la versione originale sul sito dell'etichetta). Quindi, per un periodo, aveva suonato la batteria negli Half-handed Clouds, ora su Asthmatic Kitty. Nota di colore: all'epoca, prima che lo promuovessero a mammasantissima dell'underground, in formazione c'era anche Sufjan Stevens.
Da un paio di mesi circola questo EP, autoproduzione sobria e molto ben curata in cerca di etichetta. Nel frattempo Joel si è inventato la Konstrictor, che ovviamente c'è ma non si vede: Do It Yourself. Copertina fatta a mano - un San Francesco ritagliato da una pubblicazione della cattolica Italia e
appiccicato su un cielo occhiuto e falciato di inquietanti decorazioni
bambinesche spalmate col bianchetto e un pennarello - e via. Ma come si fa a fare un disco? Dice: mettiamo in piedi una band e chiamiamola Mantle. Dentro, oltre a Joel, ci suonano il fratello Ryan e la sorella Emily (questi
americani! sempre amici dei propri fratelli), tal Andrew Prout e altri
personaggi non meglio identificati che contribuiscono con colori di piano
(alla Supertramp!), violino, glockenspiel, organino. Il tutto, o quasi, è
programmaticamente unplugged, col basso e la batteria che entrano ed escono come si entra e si esce dall'adolescenza durante il corso della vita: come qualche anno fa insegnarono i Grandaddy. E` in un immaginario simile che si consumano le lacrimucce di The Fire Ate The Trees, violino stonato e progressioni glam-rock, e gli spasmi di batteria impazzita di Major/Minor.
Strano che fili tutto liscio come l'olio: dall'epopea campagnola di Mangled and Broken alle misteriose (?) allegorie di Prostitutes, che va subito al sodo e passa via in un minuto e mezzo, fino a You Will Listen, But Not Understand, apologia dell'(auto)controllo che introduce perfettamente allo snodo finale, We're There, il frammento forse più sincero e rappresentativo
della raccolta: solo voce e chitarra a ricordare, tra le righe, che per
quanto possiamo fingere siamo circondati da conturbanti testimonianze di
darwinismo sociale. Non sei americano? Ciccia: non riuscirai mai a fare il
rock'n'roll. In Inghilterra ci provano e saltano fuori i Klaxons. E allora?
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