`Baby Blue´

Autore disco:

Baby Blue

Etichetta:

autoproduzione

Link:

www.baby-blue.it

Formato:

CD

Anno di Pubblicazione:

2007

Titoli:

1) Ice Cream 2) River 3) Alligator 4) Herzog 5) So Much 6) Hot Hand

Durata:

17:36

Con:

Serena Altavilla, Mirko Maddaleno, Duccio Burberi, Graziano Ridolfo

«Se io, Aguirre, voglio che gli uccelli cadano fulminati, gli uccelli devono cadere stecchiti dagli alberi!»

x Lorenzo Maffucci

Premessa sbrigativa necessaria: coi Baby Blue mi vien da essere fazioso e bolscevico. Dev'essere per questo che ho arrancato per mesi prima di arrivare a tirare due conclusioni sulla loro prima uscita 'vera'.
Andiamo al dunque. La domanda giusta non è «da dove vengono?», ma «a che punto sono arrivati finora?». Risposta: si son già costruiti una mitologia da nani e giganti, un repertorio facilmente individuabile che è riuscito a dare una forma al rock latente in quegli ascoltatori che tornano a vederli in concerto - cascasse il mondo, e anche se conoscono il canovaccio per filo e per segno - e si piazzano lì come pere cotte a beccarsi in faccia il richiamo sognante di So Much e complicazioni a margine come quelle di Hot Hand.
Per chi li conosce già (in Toscana sono eroi già da un pezzo. Pratesi, per l'esattezza), questo EP è una breve parata di Grandi Classici opportunamente rinfrescati che arriva a dama dopo un paio di (ottimi) demo d'avvicinamento.
Sei brani non bastano, ma certo aiutano a individuare i motivi di interesse e le maschere da indossare per far paura ai fighi e fighetti dell'indie rock.
Va da sè che parecchi pezzi forti sono rimasti fuori, a evocare in piccolo il dilemma del final cut cinematografico: in quanti modi si può decidere di dare una forma ufficiale a un pensiero? Questo è uno. Ma «mi gioco una palla, due no ma una sì» che per loro non è stata una decisione presa a cuor leggero.
Un fatto l'hanno capito fin da subito, e cioè che la definizione di un carattere originale, oggigiorno - o tempora! -, può passare comodamente per il giusto intreccio delle voci, telaio (malandrino!) che, nel loro caso, davvero fa la differenza. Dopo due pezzi (River, come basta un accordo, uno solo, piazzato nel posto giusto, per fabbricare una canzone; Ice Cream, un inciso perfetto e il basso canterino che appuntano un ricamo atonale su un tessuto melodico facile facile) fanno credere che stanno scherzando e tirano fuori dall'armadio le tastierine delle medie (Alligator, favoletta ove si lascia indovinare che per una volta Hänsel e Gretel, a Dio piacendo, potrebbero anche finir male), giocano a fare gli spagnoli che vanno a seminare progresso e distruzione nella giungla dell'Ucayali e te lo spiattellano papale papale in Herzog, bel rock aggressivo & astioso (proprio come Klaus Kinski) trafitto da inserti clandestini dal film "Aguirre".
Seconda osservazione: sembra che abbiano scoperto il rock ierlaltro, Royal Trux della domenica col coraggio di essere - come si dice in Toscana - 'gnoranti. Leggi: primitivi ma non rozzi (certi vezzi concediamoceli: i bei cambi di accento lungo Ice Cream, le già dette scalinate notturne di So Much); scarni '70, non '90. Col bel risultato che nel quarto d'ora del disco si incontra molto poco di accessorio. Il mixaggio (lavoro appassionato di Paolo Benvegnù, ancora una volta sporco a regola d'arte) si concede qualche trucchetto che, pur riuscendo a dar respiro alla registrazione (in presa diretta, giusto qualche sovraincisione), non può ancora render giustizia della 'rockesse' istintiva di questi quattro giovini.
Compiti per le vacanze: immaginarsi una risposta a questioni niente affatto distanti dai traguardi ideali dei Baby Blue; per esempio, chi vince nello scontro tra uomo e natura, rock'n'roll del sottobosco e Sistema Alternativo Degenerato? E poi: riusciranno i nostri eroi a trasportare il bastimento al di là del monte? Riuscirà Pizarro a scoprire l'Eldorado? Intanto, per quanto mi riguarda, ho deciso di intascare questo EP come un promemoria per i tempi bui; una miscellanea che, di fatto, non rende giustizia all'epica del repertorio intero e, soprattutto, della nonchalance dell'approccio live (contesto, quest'ultimo, in cui le cose sono ben cambiate lungo la trentina di concerti del primo semestre 2007). Oppure immaginiamolo come una foto che prende solo le teste, o come il catalogo di una mostra di scultura, per sua natura privo di almeno un'unità dimensionale rispetto alla 'real thing'.
Alcuni cominciano ad ammoscarsene: vedi la Fondazione Arezzo Wave Italia, che ha in parte finanziato la produzione dell'EP. Altri, adesso, li ricoprano d'oro. O, perlomeno, gli facciano fare un disco.


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Data Recensione: 26/9/2007
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