“Conditions For A Piece Of Music” è un gran tour di `musiche` d`avanguardia che si venera dal primo palpito emesso. Bastano pochi minuti ed è fatta: la creatura, l`ibrido di umori ivi contenuti diventerà amante segreto e quotidiano di orecchi svincolati da preconcetti e da inflessibili marchi stilistici.
Nessuna incertezza, è corretto adottare l`epiteto di avanguardia per calamitare l`occhio sugli Ultralyd e sulle architetture avveniristiche che `infestano` quest`ultimo capitolo di una giovane, ma già celebre epopea discografica. I norvegesi sono voraci assertori di un melting pot che fiuta spunti e linee maestre da una massiccio agglomerato di idiomi musicali: tutti di seminale importanza. Si conficcano nello stereo scampoli di free form, frazioni industrial, jazz core, noise, doom, ambient, isolazionismo acustico e persino osservazioni - incorporee - di dub nero e algebrico. Ci si frantuma su danze moderne che argomentano su un passato e presente di ispirazione underground richiamato dai venti nordici di Brötzmann, Black Sabbath, Main, God, i primi Scorn, Zorn, Painkiller, Foetus, Death Ambient...
Il segreto non è solo quello di attingere a piene mani dalle entità sopra citate, ma di disintegrarne l`espressione primordiale e riscriverne le gesta con savoir-faire distintivo senza eguali.
Un gusto che i due mentori dei Moha!, Anders Hana (chitarre) e Morten J. Olsen (batteria), Kjetil D. Brandsdal (basso) dei Noxagt e il sassofonista Kjetil T. Møster, da poco succeduto al fondatore Frode Gjerstad, hanno condito con l`inserimento a iosa di brezze nero pece, di lavorazioni corpose e iconoclaste, miscelate ad altre più distese e intime. “Conditions For A Piece Of Music” è la summa massima del mood di Ultralyd, il punto di arrivo, il lavoro più compatto e variegato, dove la capacità di librarsi si compie a 360°. Anime incontrollate che balzano `farneticanti` tra opposti continenti del suono, collaudando enigmatici artifici di fosche palpitazioni dub, rintocchi di vibrafono e squarci di sax e chitarra (Saprochord). Le corde di Hana, a momenti, si intingono di silenzio, sagomando anormali geometrie-angolature sugimotiane con gli altri strumenti: rulli singhiozzati della batteria, liquefazione generale verso una riflessione isolazionista affatto acustica (Pentassonance II e il fondale paranoico ambient ad un gravido sax in Comphonie III). Ogni singolo strumento si distingue nella sua individualità e, messo in serrato e simmetrico dialogo con gli altri, foggia perfette costruzioni ad innesto matematico: il noise-core metronomico di Low Waist, il trapasso da contemporanea a granellosa improvvisata e viceversa di Débitage, l`inabissarsi nella totale cupezza della title track. Non mancano spazi serbati a più immediati e ardimentosi slanci nel free €”jazz caustico, come Comphonie V, la foetus-iana Figurae e la meno ortodossa e chiassosa Musica Imperativa: ritmica sfasata, compattata tra boati metallici e improvvise confusioni (mentali) chitarristiche.
L`approdo alla Rune Grammofon potrà fare anche la sua parte, nella figurazione di un combo più eterogeneo, ma è principalmente la maturità dell`intero quartetto a consolidarsi pienamente come un blocco di cemento armato: indistrittubile e in - speriamo - perenne ascesa.
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