E` una porta che si chiude, due volte, la tangente che lega l'appartenenza dell'unico soggetto - il vento - in Electro-Prana, composizione del '98, che come in un quadro testamentario, risale le correnti mantriche e le tensioni smaterializzanti dell'intera ossatura minimalista dell'opera di Laporte. L'opera di questo autore, orientata già dal nascere attorno alla costruzione di microintervalli nervosi intessuti su minimali architetture cicliche, esige, nel buon nome dell'elettro-acusmatica, un'assegnazione quasi-sensoriale tra le file della musicologia 'impostata', sia perchè nel suo lavorio sonoro Laporte ha privilegiato sempre la natura cinematica e paradigmatica dell'orecchio, sia perchè questa è una di quelle opere che si confrontano con una certa donazione sinestetica e diagrammatica del suono. Certo, scrivere di "Soundmatters" è molto più semplice di quanto si possa credere: le composizioni, quasi tutte monocromatiche, ruotano intorno ad un sustain piuttosto delirante che tende, sul rapporto spazio-distanza (peccato sia assente la quadrifonia) a ciclizzare il movimento creando cerchi e spirali ovunque; è un suono invertebrato, assai ripiegato sulla sua natura a blocco e che discende, come in una danza sciamanica, una fusione singolare con la sua coda mirando sui suoi vertici. L'anastomosi tra le componenti e la natura zoomorfa dell'intera operazione scientifica di Laporte mantiene quasi naturalmente un rapporto di profondo distaccamento con la materia creazionista e con il vitalismo sonoro che resta sempre compresso dentro la sua costellazione e delimitato nella stretta morsa delle sue evoluzioni mantriche: così tutta l'economia spiraloide del sistema laportiano più che tratteggiare aree nello spazio, ricicla punti di connessione e li materializza per poi farli sparire. E` il movimento più lineare che possa esserci ma l'intensità di cui è concentrato si determina proprio dall'ambiguità con cui queste sfere paralle s'innestano senza passare per il tempo ma solo dentro uno spazio raggelato e senza più riferimenti. Talvolta Laporte gioca con la modulazione, e forse lì, e non altrove, la sua opera appare debole e profondamente irrigidita: questo è il caso di Danse le ventre du dragon, che si ricicla dietro restauri saxofonici basati su respirazione circolare e su rari momenti di slittamento complessivo; e forse proprio in questi casi, venendo a mancare la radice dronica, si avverte una profonda debolezza strutturale in un'opera che cerca disperatamente di recuperare la molteplicità di uno Xenakis e la ripetizione senza ripetizione di un Conrad. E` un percorso difficile: il disco è il risultato di quasi un decennio di sperimentazione ma la sensazione che si riceve è che nulla si muova, dal momento che queste composizioni, mescolate a random, ed ascoltate tutte di fila, sembrano figlie della stessa ossessione laportiana: mantricità , sospensione, assenza di durata.
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