E` inutile nasconderlo, l`ascolto del nuovo disco dei Bron Y Aur sorprende e non poco. L`asse della loro musica si è infatti spostato da quella sorta di improvvisazione tout-court a base di rock anni 70, psidechelia, free-jazz ed estetica del deserto, in un`organizzata forma canzone che ha nelle istanze kraute il suo maggior punto di riferimento. L`hard-rock, la psidechelia, il jazz, la ritmica di chiara derivazione germanica (e quindi torniamo a quell`origine sixties che fin dal titolo è esplicita), con in più l`uso dei turntables, sono tutti elementi di partenza a cui la band è legata ma che sono qui riassunti in un corpus unicum all`interno di una struttura solida che tanto ricorda i primi Faust. Un ruolo determinante la gioca la voce di Luca Ciffo (probabilmente il vero elemento di rottura con i trascorsi della band), quest`ultimo definitivamente entrato nelle vesti del cantante del gruppo; changing like the weather, mongrel dog, lights out blues, muds, useless, black samba, fly cia sono alcune delle song meglio costruite dalla band, tutte sui tre minuti, in cui, in un classico formato `canzone`, i cinque Bron Y Aur frullano una serie infinita di spunti e sonorità pescate tra quelle istanze sopra dette, dando vita a blues etilici, solidi assalti hard-rock, canterburiani quadri folk, appassionato jazz-rock e oscure sonorità importate dalla new wave inglese più avant. Altro snodo cruciale, l`uso degli inserti elettronici (già abbondantemente verificati nella Fuzz Orchestra, progetto composto da tre (su tre) Bron Y Aur), incastrati a dovere in un gioco di scatole cinesi, e in questo caso non possiamo esimerci dal rilevare l`importante ruolo rivestito dal neo acquisto Simon Balestrazzi (T.A.C., Kirlian Camera), sia nell`esecuzione che nella produzione dei pezzi (era luglio, poi venne agosto, e così passò l`estate). “Millenovecentosettantatre” può benissimo essere considerato la summa artistica del `Bron Y Aur universo` tanto che sembra fagocitare in sè tutti i progetti collaterali della band (abbiamo detto di Fuzz Orchestra ma ci sarebbe anche da dire delle sperimentazioni chitarristiche dei Four Gardens In One e delle venature no wave dei Plasma Expander nonchè delle varie collaborazioni a cui i membri della band hanno partecipato negli ultimi anni). Alla luce di questo lavoro, il precedente mini ep “Vol.4”, più che un ritorno al passato, andava forse considerato come la cristallizzazione di una particolare visione della musica in un determinato periodo di tempo. Quello che ne è seguito, e che adesso abbiamo tra le mani, è un lavoro complesso che a distanza di mesi continua ad offrire all`ascoltatore una fonte inesauribile di spunti e vibrazioni stimolanti. Siamo su alti livelli.
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