Vorrei cominciare con un consiglio a coloro che decideranno di comprare questo CD: prima di passare all`ascolto soffermatevi minuziosamente sulla bella confezione.
«A battere le mani, sappiamo il suono delle due mani insieme. Ma qual`è il suono di una sola mano?»: dopo che è stato tolto il CD dalla confezione, di un bel colore arancione, sul cartoncino dello stesso colore compare questa massima zen. Mi sembra davvero un buon augurio iniziale.
Leggendo attentamente le note si osserva poi che l`autore non ringrazia nessun `santo altolocato` per l`ispirazione o per l`influenza esercitata sulla sua musica, cosa che fa tanto chic!, ma il fratello Vasco per i consigli, Alfio per la grafica, Ravi per i disegni, e ancora Niccolò, Martino, Teone..., in quello che mi pare un grande esempio di modestia e gentilezza. La buona impressione iniziale si consolida.
La strumentazione utilizzata comprende chitarre, piano, fisarmonica, banjo, vinili e radio, e non c`è ombra di quelle `chincaglierie` esotiche oggi tanto di moda... ma tanto di moda da ridurre il novo folk alla stregua di un noioso cliché. E questo è un ulteriore indizio sulla personalità di un autore che intende battere una propria strada, certamente non ignorando quel ch`è e quel ch`è stato, ma senza accodarsi a quelle che sono le piccole mode del momento.
Cosa chiedere di più? Una buona musica, direte voi, e si dà il caso che c`è pure quella.
“Geneva in neve” è un album di nu-folk, nella sua accezione più free, che suona davvero nuovo e personale, e non come l`ennesima rifrittura di maestri del passato o, ancor peggio, come il plagio di qualche compagno di classe. In esso la lezione dei grandi chitarristi (penso a gente come Bert Jansch) e generi ormai storicizzati (quali il blues ed il minimalismo) vengono scomposti e ricomposti in modo brillante, personale ed imprevedibile. La summa del disco è rappresentata da Geneva in neve (oltre dieci minuti) dove il vagabondo arpeggiare della chitarra acustica, contrappuntato dai guaiti dell`elettrica, sfocia in una breve sequenza minimale di fisarmonica molto alla Oliveros. Trovo che l`unico punto debole del disco è rintracciabile all`interno dei quattro minuti di Jandek promenade, e ne è causa un`incorreggibile inadeguatezza dell`intervento vocale, ma per il resto è veramente tutto OK.
Venti minuti sono un po` pochi per dare un giudizio ponderato sull`autore, che magari domani se ne scappa fuori con una porcata mostruosa (vi ricordate Alan Sorrenti), ma intanto nulla vieta il godimento di questo bel disco.
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