Punck è un essere indefinibile... vive in un suo mondo al di fuori della pagnotta quotidiana, indipendentemente dal fatto che questa prenda le sembianze del nu-qualcosa o del post-qualcos`altro. E` sicuramente un artista `marginale`, come lo furono i suoi `idoli` Tim Buckley e Syd Barrett, un autentico clochard di musicopoli. Se ne sta lì acquattato in quel di Ravenna, alle spalle di paludi che non sono più e davanti ad un mare ormai al tramonto, magari fumando l`ennesima sigaretta, e finisci quasi per dimenticarti della sua esistenza, quando eccolo che salta fuori con una rara esibizione o con un disco assolutamente inatteso. “Aube Noir” sembra adattarsi al formato che lo contiene, nella sua struttura più spigolosa e meno sontuosa del solito, e pure Punck offre come sempre la dimostrazione di possedere una sensibilità affatto insolita. La forma - claudicante in Aube Noire, frizzante ne La chanson de sirènes (titolo che evidentemente vuole omaggiare il Tim) e invasata ne L`aurore - è soltanto un contenitore vuoto da riempire con questa sensibilità , che pare essere più malinconica che oscura; e non lasciatevi ingannare da un titolo come L`aurore che parrebbe preannunciare un futuro di ilarità che non verrà mai.
Le sembianze vorrebbero confinare questo dischetto al ruolo di aperitivo in attesa della più corposa collaborazione con i Logoplasm che uscirà su `Setola di maiale`, state accuorti, ma in realtà è accompagnato da tanti di quegli stuzzichini che finisce con l`essere un pasto quasi completo.
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